Kebab addio. Più che la politica potè la crisi

«Meglio polenta e osei». Con questa sentenza i bergamaschi decretano la chiusura dell’unico kebab della città alta. La panineria araba non ha fatto breccia nel palato degli irriducibili dello stracotto d’asino e dei brasati. È sopravvissuta alle battaglie della Lega Nord, che non gradiva la presenza di un locale etnico nel cuore della Lombardia, ma non ce l’ha fatta a resistere alla crisi, ai costi troppo alti dell’affitto ai piedi delle mura venete, alla concorrenza. Il negozietto è stato inaugurato diciotto mesi fa e a Bergamo è stato ribattezzato «il kebab della discordia». Però ha tenuto duro: ha combattuto a suon di menù a prezzo ribassato e di succulenti piadine kabab con patatine contro la tradizione consolidata delle trattorie bergamasche.
Ma alla fine il cuoco tunisino ha alzato la bandiera bianca. Contrariamente alla tendenza regionale: in base ai dati della Camera di commercio, i kebab in tutta la Lombardia hanno registrato un autentico boom e, più in generale, i locali gestiti dagli stranieri hanno avuto una crescita del 147 per cento. Soprattutto quelli dei cinesi.

Tra le province dove mangiare etnico è più facile, e spesso, «à la page», in testa c’è Milano, seguono Mantova e Brescia. Bergamo no. Bergamo resta la roccaforte della polenta taragna. Inespugnabile dal cous cous e dalle spezie.

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