Killer di Melissa, caccia al complice col pick-up

nostro inviato a Brindisi

Caccia al complice sul «Pick up» bianco. L’esame incrociato dei filmati delle telecamere piazzate lungo via Palmiro Togliatti e le strade che circondano l’istituto professionale, avrebbe dato un volto all’uomo che ha supportato l’attentato nel suo progetto criminale. Il fuoristrada è stato visto andare avanti e indietro sia nella sera precedente che nelle ore a ridosso dell’esplosione. Non è dato sapere se queste immagini sono le stesse a cui fa riferimento il preside della scuola Angelo Rampino che, a sorpresa, ha seccamente smentito il procuratore della Dda di Lecce Cataldo Motta a proposito del vero obiettivo dell’attentato: «non era la scuola l’obiettivo». Una presa di posizione che sorprende gli investigatori, convinti invece che all’interno della scuola di Melissa qualcuno sa e non parli. Insomma, l’istituto è sempre al vaglio degli inquirenti, che però non attribuiscono rilevanza investigativa alla vecchia storia, rilanciata dal tg di Sky, di molestie sessuali a una trentenne che vide coinvolto lo stesso preside nel 2002.
Ma a complicare le cose sono coincidenze che portano nella direzione accantonata, almeno ufficialmente, da carabinieri e polizia, quella di un attentato voluto dalla criminalità organizzata. Anche perché s’è scoperto che dentro le tre bombole mortali non vi era gas ma polvere esplosiva probabilmente assemblata dagli «artificieri» delinquenziali di Galatina. Torna lo spettro dei clan. Che avrebbero messo in campo una doppia strategia: da un lato, la ricerca di consenso attraverso le promesse di vendetta contro l’assassino pronunciate dai vecchi boss della Sacra corona unita, inorriditi dalla morte di Melissa, e, dall’altro, l’imposizione di un nuovo ordine criminale a suon di attentati, ora che gli antichi assetti sono saltati e le nuove leve cercano prepotentemente di farsi spazio. L’ha spiegato l’ultimo super-pentito della Sacra corona unita, Ercole Penna, svelando il dna assassino delle cosche brindisine: gli attentati dinamitardi di ultima generazione servono ad «aumentare all’esterno il clima di intimidazione e riaffermare la nostra presenza e la nostra operatività pur dopo gli arresti, anche quale risposta alle istituzioni». La democrazia del terrore, la chiamano gli inquirenti. Al tempo stesso, però, in questi giorni, i pezzi da novanta della criminalità organizzata locale, gente del calibro di Tonino Screti, Francesco Prudentino, Raffaele Brandi, la moglie del Padrino Pino Rogoli si sono piazzati davanti ai taccuini dei giornalisti e hanno iniziato a giurare vendetta contro chi ha piazzato l’ordigno davanti all’istituto scolastico. «Se li prendiamo prima noi, ce li mangiamo», promettono. Che cosa significano questi messaggi? E se si trattasse di una campagna di disinformazione in grande stile della Sacra corona unita, per ripulirsi gli abiti e le mani sporche di sangue e apparire così, agli occhi del suo «popolo», pronta a sostituirsi allo Stato nella ricerca della verità? Pure questa tattica della bestia mafiosa dal volto umano, l’ha spiegata Penna, parlando coi magistrati antimafia di Lecce: «La gente comune fa affidamento su di noi, siamo sempre disponibili anche per i problemi economici per i quali la gente si rivolge a noi. E siamo pronti a risolverli anche dando denaro a fondo perduto».
A ben vedere, la pista mafiosa, nella strage di Brindisi, conta ben più dei tre indizi di Agatha Christie. A Brindisi, in questi ultimi tempi, magistrati e forze dell’ordine hanno fatto terra bruciata attorno ai clan: le operazioni «Last minute», «Berat» e «Die hard», solo per citarne alcune, hanno portato in galera una cinquantina di colonnelli e gregari, squilibrando gli assetti mafiosi sul territorio e lasciando campo libero ai nuovi, sanguinari gangster. Che, per arrivare al potere e conservarlo puntano sul terrore. Le coincidenze della pista mafiosa meriterebbero ben altre attenzioni. Alcune studentesse del «Morvillo-Falcone» sono imparentate con vecchi e nuovi collaboratori di giustizia. E la voce di un nuovo pentito della Sacra corona unita di Mesagne, il paese di Melissa e Veronica, è improvvisamente esplosa ieri, ma nessuno ha voluto confermare. In quella scuola c’è anche Selena, figlia di Vincenzo Greco, ferito in un agguato due anni fa, a Mesagne. Gli hanno bucato la pancia, i killer, e non si è mai capito perché.

Dei due suoi fratelli, uno – Antonio – è un pentito, e l’altro – Leonardo – è un malacarne locale, condannato nel maxiprocesso Mediana a dieci anni e otto mesi. Voleva diventare un capo, Leonardo Greco. Gli hanno fatto capire che non era aria mandando il fratello quasi al camposanto.
(ha collaborato Simone Di Meo)

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