I disagi della nevicata dello scorso dicembre, in particolare il rinvio del derby genovese, hanno fatto ritornare d'attualità l'antico acquedotto marino di Genova, che, nel caso in questione, avrebbe forse potuto far fronte all'emergenza, con l'annaffiatura delle strade e del manto erboso con l'acqua salata di mare. Tuttavia, al di là del fatto che non sappiamo come sarebbe poi ricresciuta l'erba sul campo riempito di sale, è forse interessante ricordare l'esistenza di questo manufatto, utilizzato dalla città di Genova dal 1924 alla fine degli anni sessanta.
Già in alcune città europee esistevano agli inizi del secolo scorso degli acquedotti marini utilizzati soprattutto per la pulizia delle strade e l'8 maggio 1922 il Consiglio Comunale di Genova approvava il progetto con un costo previsto di 4 milioni di lire. In realtà sia a Genova (sulla collina di Carignano) sia in qualche altra città italiana già esistevano piccoli acquedotti che utilizzavano l'acqua del mare a scopi di nettezza urbana, tuttavia il nuovo progetto era qualcosa di molto più grande e prevedeva la costruzione di tre impianti, a levante al centro e a ponente nella città. Non mancarono le critiche da parte di chi riteneva potesse essere dannosa l'acqua salata, sia per la sicurezza del fondo stradale, sia per le ruote dei carri, dei tram e delle (poche allora...) autovetture, sia per la salute dei cittadini per originare, l'acqua marina, infiammazione agli occhi. Il Comune ribadì a tutte le critiche, presentando dati tecnici, confortato dal parere positivo dato dallo stesso Ufficio Municipale d'igiene, ed evidenziando il fatto che il piccolo acquedotto marino, da tempo esistente in Carignano, non aveva creato i problemi sollevati.
I lavori furono affidati nel 1923 all'impresa Porcheddu che l'anno dopo terminò il primo lotto con la costruzione della presa dell'acqua nella zona a mare di San Giuliano e il serbatoio in cemento armato nei pressi del forte di San Martino, con le relative tubazioni interrate di mandata e di distribuzione. Da queste si dipartivano varie diramazioni per raggiungere varie zone del levante della città sino a Sturla, alla Foce, a Corso Sardegna ed a piazza De Ferrari. Negli anni successivi furono completati circa 14 km di tubazioni che interessavano tutto il levante cittadino.
Il progetto per la zona centrale ed occidentale della città rimase sulla carta per i grossi costi di realizzazione, ma per la zona levante l'acquedotto marino funzionò per il lavaggio delle strade per parecchi anni restando in esercizio, gestito dall'azienda di Nettezza Urbana sino ai primi anni Settanta. Curiosi sono alcuni utilizzi secondari come lo sgombero dalla neve per mezzo di un'autobotte con spazzaneve, l'utilizzo nel Diurno di piazza De Ferrari, il lavaggio dei mercati di corso Sardegna. Nel 1945 l'acqua salata dell'acquedotto marino fu eccezionalmente usata dall'Auxilium della Curia genovese per cucinare la minestra che era distribuita ai poveri: lo testimonia una lettera del 17 maggio inviata da mons. Giovanni Cicali, allora direttore dell'Auxilium, indirizzata al Sindaco di Genova e conservata nell'Archivio Storico del Comune. Il progetto prevedeva anche l'utilizzo dell'acqua di mare per alimentare le fontane cittadine, e la fontana di piazza Tommaseo per un lungo periodo fu così alimentata.
Una recente ed interessante pubblicazione della Fondazione Amga curata da Giorgio Temporelli e Nicoletta Cassinelli è dedicata agli acquedotti genovesi; un capitolo è riservato proprio alle vicende di questo acquedotto marino. Oggi l'acquedotto è ormai dimesso, sia per gli eccessivi costi di manutenzione della rete, sia per l'aumentata disponibilità di acqua con i nuovi invasi creati nel secolo scorso; il serbatoio di San Martino è stato demolito e la «presa» a San Giuliano è trasformata in abitazione.
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