L’Afghanistan d’Europa che ci ha dato una regina

I paradisi aumentano. C’è come incontestato capofila quello di Dante, ci sono i paradisi tropicali, ci sono i paradisi fiscali e finalmente, ultimo venuto - o in procinto di venire - ecco un paradiso criminale. Lo stanno (...)
(...) allestendo in Montenegro, con una idea che, nella sua semplicità, onora il talento di quei rudi uomini delle foreste. Il minuscolo Stato - ma secondo molti «piccolo è bello» - non ha ancora un sistema efficiente di trattati d’estradizione e di collaborazione poliziesca a livello internazionale. In fin dei conti gli è mancato il tempo d’attrezzarsi al riguardo, l’indipendenza è stata proclamata solo il 2 giugno del 2006, quattro anni fa.
Ma a questo ritardo s’è aggiunta una furba norma della nuova costituzione in base alla quale - potete leggerlo nell’interessante cronaca di Fausto Biloslavo - il Montenegro non può estradare un suo cittadino se non al tribunale dell’Aja per crimini di guerra nei Balcani. Vale a dire che i più efferati criminali, se protetti dalla cittadinanza montenegrina, subiranno unicamente processi e condanne locali. Sulla cui certezza e attendibilità pochi sono disposti a giurare. Ecco allora il colpo di genio. Se uno, con qualche scheletro virtuale o reale nell’armadio, vuol sfuggire alla legge di altri Stati, si fa cittadino del Montenegro. Ma deve pagare un pedaggio che non è robetta, 500mila euro, ma non è nemmeno, per evitare anni di galera, un sacrificio eccessivo. I moralisti storceranno il naso, questa sorta di vendita delle indulgenze non è gran che, dal punto di vista etico. Il Montenegro accoglierà personaggi non cristallini, ma farà cassa e non c’è bisogno d’essere professori di latino per sapere che pecunia non olet.
Negli italiani, soprattutto se non giovani, il Montenegro risveglia ricordi della storia patria. Perché montenegrina - figlia del re Nicola, omonimo e vassallo dello zar di tutte le Russie - era la principessa Elena che aveva studiato a Pietroburgo in un collegio di élite, che là aveva conosciuto il principe ereditario italiano Vittorio Emanuele, e che l’aveva sposato nel 1896. Quello tra la ragazzona balcanica - che padroneggiava perfettamente il francese usato in famiglia - e il piccolo Savoia fu un matrimonio tutto sommato felice (a proposito del francese: quando, durante la «fuga di Pescara» del 9 settembre 1943, il principe Umberto, in un soprassalto di dignità, manifestò l’intenzione di tornare a Roma, la madre lo dissuase dolcemente: «Beppo, on va te tuer»).
I molti sarcasmi sulla coppia («Curtatone e Montanara») non hanno potuto scalfirne il legame. Agli italiani il Montenegro deve il suo nome, usato anche nelle sedi ufficiali, che si dice sia stato ispirato ai veneziani dal verde profondo del paesaggio (solo i serbi e i croati lo chiamano Crna Gora). Uno degli splendidi angoli della costa montenegrina, le bocche di Cattaro, base navale austroungarica, furono teatro di una impresa aerea voluta da Gabriele D’Annunzio nella notte dal 4 al 5 ottobre del 1917 (la notte di San Francesco): 14 velivoli - come il Vate usava chiamarli - bombardarono sommergibili e siluranti.
Come tutte le etnie che vivono in un ambiente aspro, di valli e picchi scoscesi, i montenegrini sono duri e orgogliosi. Si racconta che proprio il papà di Elena dicesse con fierezza «io e lo zar di Russia abbiamo oltre cento milioni di sudditi», senza fare troppe precisazioni sui numeri. In realtà a tutt’oggi la popolazione dello staterello si aggira sui settecentomila abitanti.
Balcani polveriera d’Europa sentenziavano gravemente i notabili dei secoli scorsi, scuotendo la testa se appena la conversazione riguardava quell’area. E in effetti il Montenegro è stato coinvolto nelle guerre e guerricciole di Serenissima, Impero ottomano, Impero austroungarico fino al secondo conflitto mondiale. Issato all’indipendenza dopo la deflagrazione della Jugoslavia titina, ci si può chiedere quanto sia ragionevole dare struttura di Stato a un’entità così modesta: alla quale non era mai mancato l’appoggio della Russia zarista, per il potente legame rappresentato dalla comune religione cristiano-ortodossa.


Adesso, affacciato all’Occidente ma stretto tra le sue vette e il suo mare, il Montenegro può sembrare per un verso una felice enclave di vacanze, ma per un altro ricordare, con la mano tesa alla malavita, l’atteggiamento dell’Afghanistan per il traffico d’oppio. Tuttavia, è bene sottolinearlo, senza i combattimenti e il sangue che in Afghanistan sono cronaca quotidiana. La differenza è fondamentale.

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