L’alternativa allo sfascio

La riforma del sistema pensionistico non è un qualunque atto di governo. Per le questioni che coinvolge essa interessa l’intera società italiana, quella di oggi, di domani e di dopodomani. I valori che dovrebbe comporre sono molteplici: dal sostegno a chi è già oggi nella quarta età e riscuote poche centinaia di euro al mese, a quei milioni di giovani che guardano con angoscia al loro lontano futuro previdenziale. Destini di persone diverse, dunque, che si incrociano e che devono necessariamente trovare una risposta di reciproca solidarietà nella quale non si potrà scambiare la fame e l’indigenza di oggi con quelle di domani.
La lotta per un sistema previdenziale che unisca e non divida è l’imperativo di cui la politica e le stesse forze sociali dovranno farsi carico e che non può non far leva innanzitutto sulla sostenibilità finanziaria senza la quale avremo l’effetto paradosso, e cioè che alla povertà previdenziale di oggi si aggiungerà quella di domani, con una terrificante implosione della coesione sociale. Se queste sono le coordinate, dunque, i tentativi di scavalcamenti a sinistra come a destra per difendere alcune centinaia di migliaia di voti testimoniano solo una caduta impressionante nella classe dirigente italiana.
Se la riforma della previdenza è tutto questo messo insieme, anche il percorso procedurale dovrà essere rigorosissimo. Bene ha fatto il governo ad avviare un confronto stringente con le parti sociali, ma quel confronto non può e non deve risolversi in un «contratto blindato» da far approvare ad occhi chiusi al Parlamento della Repubblica. Si concertano con le parti sociali le linee e gli obiettivi, certo non si può contrattare il dettaglio della norma, che spetta al Parlamento della Repubblica. Le forze sociali, insomma, non possono essere la terza Camera legislativa. Anzi, in questo caso, la prima e unica Camera legislativa, relegando Camera e Senato solo a un ruolo di presa d’atto. Ne va del profilo della nostra democrazia. Nella seconda metà degli anni Novanta ciò che diciamo era patrimonio anche di Rifondazione comunista, che non a caso cominciò a contrastare Romano Prodi proprio su questo versante, ritenendo che il dominus in un sistema democratico non potesse che essere il Parlamento della Repubblica. Il governo, sosteneva all’epoca Rifondazione comunista, si deve presentare sempre con una propria linea, frutto di un confronto serrato con le parti sociali, ma aperta al decisivo e vincolante contributo del Parlamento. È questo il processo democratico che dà voce a tutti e che non fa scivolare il nostro sistema politico in un miscuglio di peronismo corporativo nel quale prevarrebbero inevitabilmente gli interessi più forti.
Tutto ciò per dire che, dinanzi a una proposta del governo «aperta» e senza alcun voto di fiducia, saranno i gruppi parlamentari, di maggioranza ma anche di opposizione, a trovare quel punto di equilibrio capace di farsi carico dei valori e dei bisogni delle vecchie e delle nuove generazioni. Aumento dell’età pensionabile, aumento delle pensioni più basse, rilancio della previdenza complementare con apposite agevolazioni fiscali, futuro previdenziale per le giovani generazioni sono tutti obiettivi che possono essere tutelati se si scopre la saggezza di un sentiero che distribuisca non solo reddito e certezze, ma anche i necessari sacrifici, distinguendo, ad esempio, fra lavori usuranti e tutti gli altri.
Un consiglio, allora, a tutti i protagonisti. Al governo perché illustri alle parti sociali la propria proposta senza concordarla nei minimi dettagli e senza firmare «contratti» e vada in Parlamento chiedendo innanzitutto alla propria maggioranza un atto di responsabilità.

Ai partiti perché cerchino in Parlamento, e non altrove, il necessario punto di equilibrio, mentre le parti sociali, dal canto loro, devono oggi più che mai capire e difendere i valori dalla democrazia parlamentare che non possono essere soppressi da un accordo blindato con il governo né sulla previdenza né su altro. Diversamente, tutti, governo, partiti e sindacati, saranno i responsabili di un inevitabile sfascio del Paese.
Geronimo

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