L’amico del carceriere incontrò Natascha

Il sequestratore mentì alla sua vittima: «Ho chiesto un riscatto ma i tuoi non ti vogliono»

Manila Alfano

Era entrato in casa decine di volte senza notare mai niente di strano. Tutto gli era sembrato normale: la casa, l’amico, la ragazza. Anche quella volta in cui Priklopil aveva bussato alla porta con lei al fianco. «Quando ho aperto, lui mi ha presentato la ragazza dicendomi che era una conoscente, un’amica, senza rivelarmi il suo nome. Lei mi ha stretto la mano e mi ha semplicemente detto “buongiorno”. Mi aveva fatto una buona impressione, non sembrava essere la vittima di nessuno e di certo non avrei immaginato che quella giovane donna potesse essere la bambina scomparsa otto anni prima».
La vicenda di Natascha Kampusch, la ragazza sfuggita dalle mani del suo aguzzino mercoledì scorso, si riempie, giorno dopo giorno di particolari. Mentre lei ha incontrato per la seconda volta gli inquirenti che stanno ricostruendo quegli 8 anni di prigionia, da un capannone di Vienna, Ernst Holzapfel, il migliore amico di Priklopil, racconta di aver incontrato Natascha un giorno di metà luglio in compagnia del suo aguzzino. Quel giorno Priklopil e Natascha erano andati da lui per chiedergli in prestito la roulotte. Holzapfel ha raccontato di essere rimasto stupito da quella presenza femminile e di avere pensato che la donna fosse la compagna dell’amico, ma precisa anche che non aveva avuto il coraggio di chiedere di più.
Ernst Holzap era l’amico fidato di Wolfgang, forse l’unico. Era quello su cui poter contare, quello da chiamare nel momento del bisogno. «Ho conosciuto il Signor Priklopil negli anni ’80 durante un apprendistato alla Siemens». Negli anni ’90 è stato suo dipendente, fino a che nel 1994 è diventato socio di minoranza della sua società edile, la «Besan BaugesmbH». Holzapfel lo descrive come «un collega affidabile, preciso e corretto, sempre gentile e disponibile». La vicenda del rapimento è stata per lui uno shock: «Sono senza parole dinanzi a questo tremendo crimine», ha detto. «Ho dovuto identificare Wolfgang dopo il suicidio, è stato terribile per me», ha aggiunto. L’uomo ora sente il bisogno di difendersi, di mettere in chiaro le cose, perché la notte della fuga di Natascha Priklopil chiamò proprio lui, chiedendogli aiuto e pregandolo di portarlo in macchina alla stazione ferroviaria dove poi si è suicidato. «Sono al Donauzentrum, al vecchio ufficio postale, per favore raggiungimi, è un’emergenza, vieni presto». E il collega si era presentato con la sua auto e insieme si erano diretti nella periferia est di Vienna. «Priklopil era molto agitato, mi aveva detto di aver evitato un posto di blocco della polizia. Ho cercato di calmarlo parlando di altro, di lavoro, ma lui era uscito velocemente dall’auto».
Nella lettera aperta scritta da Natascha c’è una parola anche per lui: «Non deve sentirsi in colpa, lui non avrebbe potuto fare niente per evitare il suicidio di Wolfgang. È stata una sua decisione». E lui, l’amico del «mostro», risponde: «Ho sempre creduto di avere a che fare con una persona normale, vi assicuro che non potevo immaginare niente di quello che poi si è scoperto».
Intanto dai racconti di Natascha emergono i dettagli di un rapporto fatto di bugie. Il sequestratore avrebbe fatto credere alla bambina di avere chiesto un riscatto, ma i suoi genitori non erano interessati a riaverla. Un falso, utile ad allontanare la piccola dalla famiglia. Nel loro breve incontro, infatti, Natascha ha rinfacciato al padre che Priklopil «voleva 13 milioni di scellini (circa 940mila euro) da te e tu non ti sei fatto vivo, non ti sei fatto trovare.

E poi non hai conservato il numero di telefono che ti aveva lasciato?». Il padre ha guardato la figlia ed è rimasto per un attimo senza parole. E poi con un filo di voce ha detto: «Non mi ha mai telefonato. Non ha mai chiesto un riscatto».

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