L’asso vincente degli istituti professionali si chiama "motivazione"

Se il 38% degli studenti ritiene la scuola «un luogo dove non si ha voglia di andare» qualche domanda ce la dovremmo pur fare anche perché se il 74% di quelli che hanno frequentato i centri di formazione professionale (privati o appartenenti al mondo no-profit) è contento di quello che ha fatto di domande ce ne dovremmo già fare due. Anche gli istituti professionali statali non vanno male: il 58% dei diplomati ha un giudizio complessivo buono o ottimo sul percorso di studi.

Perché i ragazzi si trovano così bene nei centri di formazione professionale? Perché in quelle strutture i ragazzi ritengono che la scuola sia un luogo dove si ha voglia di andare?
A queste e ad altre domande risponde il Rapporto sulla sussidiarietà 2010 curato dalla Fondazione Sussidiarietà presieduta da Giorgio Vittadini. È un rapporto serio, documentato e approfondito forse troppo per quella classe dirigente politica che dei libri ha ormai e sempre più spesso fatto elementi di arredo per i salotti e gli ingressi di casa. Ma lasciamo perdere.

Qual è il segreto dei centri di formazione professionale che risultano attrattivi e non respingenti per i giovani. Il segreto è semplice ed antico: si chiama motivazione. Chi gestisce questi centri (Salesiani in testa) lo fa con competenza e crea degli ottimi professionisti ma lo fa con una grande attenzione alla persona, alla sua accoglienza e al suo orientamento. Ora, siccome stiamo parlando di capitale umano e non finanziario la motivazione è il cuore di tutto.

Non importa se questa motivazione arriva da persone e strutture culturalmente e religiosamente orientate perché questa motivazione che viene trasmessa è una motivazione umana, per un’attività umana, con finalità umane. All’origine della motivazione c’è un’altra parola chiave: sussidiarietà. Motivazione e sussidiarietà sono le due facce della stessa medaglia, quanto più le istituzioni sono vicine al bisogno delle persone tanto più queste lo fanno perché lo vogliono fare e non solo perché lo devono fare. E quando un giovane respira in un’istituzione, come i centri di formazione professionale, un’aria di libertà questo produce in lui una maggiore voglia di fare e il dovere diventa il suo progetto di vita e non un giogo simile a quello che si metteva agli animali. È un segreto umano più che manageriale. È il coraggio di puntare sulla persona senza remore e senza paure.

Purtroppo per quanto riguarda gli aspetti occupazionali e professionali i centri privati sono in una posizione più arretrata nei confronti degli istituti statali. Mentre per i diplomati degli statali il 59% è risultato occupato, per quelli del settore privato il 56% non è risultato occupato. Ci sarà da lavorare su questo punto ma anche qui c’è da fare dei distinguo perché, ad esempio in Lombardia un 60% di qualificati del privato trova un impiego nei primi sei mesi dopo la qualifica contro il 41% dei diplomati della Sicilia. Dicevamo che qui occorrerà lavorare ma tenendo conto che probabilmente è più facile cercare un lavoro ad una persona che ha svolto un percorso formativo soddisfacente in quanto persona che non intervenire su di una persona già occupata ma carente quanto a motivazione e soddisfazione personale.

Il bello di questo studio è che vengono offerti dati che aiutano ad identificare i punti di forza e di debolezza dei due sistemi pubblico e privato.

Per i decisori questo è un contributo fondamentale.
Speriamo che tra una rissa e l’altra trovino il tempo di leggerne almeno il riassunto (totale 4/5 minuti di attenzione). Meno male che tra tante fondazioni inutili o dannose ce n’é qualcuna che fa cose utili.

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