L’Europa non sa più decidere: su Irlanda e Cuba prende tempo

E sul delicato tema delle sanzioni contro Teheran la scelta più bizzarra: le definirà il consiglio dei ministri dell’Agricoltura la prossima settimana

nostro inviato a Strasburgo

Hai dubbi? Prendi tempo. Potrebbe essere la parola d'ordine di questa Europa politically correct fino all'inverosimile, ma impastoiata di fatto ormai da centinaia di problemi. Da quello del nucleare iraniano a quello della bocciatura del referendum, passando per altre mille questioni. Sia chiaro: ottenere l'unanimità dei consensi, coabitando in ventisette sotto lo stesso tetto, non è che sia facilissimo. Ma sempre più spesso davanti a temi spinosi la burocrazia Ue si rimpannuccia in un «dopo» che spesso lascia sgomenti proprio gli europei. Che in tempi di crisi come questi, preferirebbero interventi immediati.
Eppure è accaduto anche ieri. Mentre a Lussemburgo i ministri degli Esteri dei Ventisette avevano in programma un summit sulle relazioni con Cuba e Iran (su cui era intanto piombato come un macigno il no irlandese al trattato di Lisbona), dall'Air Force One di George Bush pioveva un intervento del suo consigliere Stephen Hadley che annunciava che i capi della diplomazia europea, in poche ore, avrebbero reso note le loro nuove e dure sanzioni contro Teheran. A Lussemburgo cadevano dalle nuvole, o almeno facevano finta di farlo. Il portavoce di Solana negava di brutto: «Non se n'è discusso né se n'è deciso!». Altri confermavano. E ci voleva Frattini per ammettere che Solana, di rientro dal suo blitz in Iran, aveva in effetti relazionato i colleghi europei, suggerendo però di dare almeno sette giorni di tempo a Teheran per una risposta alle offerte fatte pervenire ad Ahmadinejad.
Insomma niente interventi immediati. Né (a quanto si è capito) un breve rinvio al più autorevole consiglio dei capi di Stato e di governo che si tiene a fine settimana a Bruxelles. Bensì delega a decidere al consiglio dei ministri… dell'Agricoltura, che si terrà il 23 e 24 giugno prossimi. Dicono nei palazzi comunitari che le sanzioni andranno oltre le aspettative Onu che si dipanano nella risoluzione 1803 del 30 marzo scorso. Che cioè la Ue potrebbe anche aumentare le personalità iraniane da interdire e bloccare ogni canale finanziario che porti a Teheran, compresa quella Melli Bank che ha sedi importanti a Londra, Amburgo e Parigi. Resta il fatto che a lanciare le sanzioni sarà un consiglio dei ministri dell'Agricoltura, che con la politica estera e il nucleare non c'azzeccano. E che fa (poco) da foglia di fico di una Ue che evidentemente non vuole inimicarsi troppo il regime degli ayatollah.
E rinvio chiama rinvio. Non solo su Cuba (se ne parlerà a Bruxelles) ma anche e soprattutto sulla vicenda istituzionale. Un po' perché «non ci sono soluzioni» alle viste, come ha tristemente ammesso il presidente di turno dei ministri degli Esteri, lo sloveno Rupel. Un po' perché i governanti irlandesi non possono smentire un voto popolare a pochi giorni dal suo esito, ancora perché la «doccia fredda», come l'ha chiamata Frattini, ha bisogno di essere compresa meglio, visto che in molti Paesi cresce l'euroscetticismo.
Che fare, allora? L'idea che sta prendendo piede in queste ore, sorretta da Brown, Merkel, Sarkozy è quella di procedere comunque alla ratifica dei rimanenti 26 Paesi firmatari del trattato. Sarkozy in particolare, volato a Praga per discutere dei prossimi passi da intraprendere, ha detto che dopo la bocciatura del referendum irlandese «nessuno deve sentirsi in trappola». Occorre «valutare con calma e sangue freddo» la situazione, ha aggiunto il presidente francese, evitando in tutti i modi di «ripiombare nelle decennali discussioni istituzionali». Anche Berlusconi deve pensarla allo stesso modo, visto che Frattini, pur trovando motivate alcune osservazioni leghiste, si è spinto a chiarire come sia «politicamente impossibile frenare il processo di ratifica» in Italia.
Si vuole insomma che tutti, tranne l'Irlanda, approvino entro ottobre, novembre. Dando così modo a Sarkozy in chiusura di semestre francese, di chiedere all'Irlanda di tornare a votare.

Magari accompagnando l'idea a un promemoria che rassicuri gli isolani che non verrà toccata la loro identità nazionale e ottenendo in cambio, da Dublino, una dichiarazione favorevole ai «meccanismi» introdotti da Lisbona. Rinviare, sopire, sanare. Un po' poco. Ma nei gangli direttivi della Ue, per ora, non c'è altro.

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