L’Europa rischia se è troppo debole con i musulmani

L’Europa rischia se è troppo debole con i musulmani

Carlo Pelanda

La questione delle vignette è stata troppo «intellettualizzata». Il punto vero, già in parte anticipato su queste pagine da R.A. Segre, riguarda la geopolitica concreta: è questione di confini e di riconoscimento internazionale di una nuova potenza islamico-teocratica nel contesto della guerra civile in corso entro l'area musulmana. La giusta risposta che noi italiani ed europei dobbiamo dare al mondo musulmano che giustifica e pratica la violenza contro la Danimarca, nazionalità del periodico che ha pubblicato le vignette considerate blasfeme, non va cercata valutandone gli aspetti astratti di scontro di civiltà, come hanno fatto finora la maggior parte dei commenti sulla stampa italiana. Va, invece, basata sulla comprensione di cosa c'è sotto veramente.
L'indignazione dei musulmani per le vignette - per altro stupidine, ma è irrilevante - è stata fomentata strumentalmente da leader islamici che usano l'estremismo jihadista per rovesciare o condizionare i regimi moderati. Chi sono? L'Iran, come Stato, e nuove élite rivoluzionarie in tutti i Paesi dell’area, in competizione o collaborazione con Teheran per la leadership jihadista. La loro strategia è quella di mobilitare la fede ingenua di centinaia di milioni di credenti attraverso un progetto di «orgoglio islamico». Lo stesso di Osama Bin Laden, con il medesimo obiettivo, ma perseguito in modo più furbo: farsi riconoscere dalla comunità internazionale e unire questa leva esterna a quella interna per spazzare via definitivamente la politica laica, islamico-secolarizzata e filo-occidentale, conquistando i singoli Paesi per poi unirli in un'unica grande confederazione. Questo è il contesto reale dove prende significato la questione delle vignette come scusa per eccitare le folle e dare un segnale agli occidentali che devono riconoscere l'area islamica nella sua variante fondamentalista. Ed il riconoscimento che chiedono non è, per il momento, un atto formale, ma un graduale cedimento alle ragioni islamiche: non ingerenza nell'area musulmana, ma anche accettazione del codice musulmano rigorista dovunque. Cosa imposta mobilitando tutto l'Islam contro chi non lo fa. In questo piccolo spazio la questione va necessariamente essenzializzata: a) siamo sottoposti ad una pressione ricattatoria finalizzata a lasciare spazio geopolitico al nuovo Califfato; b) i cui confini non sono solo le terre dei musulmani, ma dovunque un musulmano abiti, cioè dovremmo riconoscere un limite delle nostre Costituzioni a casa nostra; c) in una situazione dove la nostra mancanza di risposte forti verrà interpretata non come saggezza, ma come debolezza; d) usata dalle élite islamiche emergenti per confermare la forza del progetto «orgoglio musulmano» ed aumentare il consenso per l’ala jihadista. Questa è la montagna sotto la punta dell'iceberg delle vignette. I governi e l'Unione Europea stanno cercando di calmare le acque perché hanno la priorità di non mettere in difficoltà i leader islamici moderati. Una reazione dura formale alla violenza contro danesi ed altri, infatti, costringerebbe i governi egiziano, turco, ecc. a seguire il fondamentalismo per non essere fatti fuori a casa loro. E questo è comprensibile, ma apre il rischio, appunto, di far percepire tale prudenza come un passo del riconoscimento: l'Europa non difende i danesi oggi, domani potremo osare un secondo passo alla prossima occasione strumentale. La risposta che daremo, se troppo debole, incentiverà la ricerca di altre scuse per eccitare l'orgoglio islamico. Chi e come potrà far fallire tale strategia? I governi stanno usando troppa prudenza.

Tocca a noi opinione pubblica sollecitarli con parole chiare: mai daremo il riconoscimento ad un Islam fondamentalista. Spero di aver dato i motivi per portare la questione dalla cultura alla (geo)politica concreta.
www.carlopelanda.com

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