L’ex prete che benedisse l’antisemitismo fascista

La vita di Giovanni Preziosi in «A caccia di ebrei» di Canosa

L’ex prete che benedisse l’antisemitismo fascista

Giovanni Preziosi, il prete spretato che personificò l’antisemitismo italiano nella sua versione più turpe, non sopravvisse al fascismo. In A caccia di ebrei (Mondadori, pagg. 390, euro 19) Romano Canosa ne narra così la fine: «Nelle prime ore del mattino del 26 aprile 1945 alcune automobili provenienti da Desenzano viaggiavano a forte andatura verso Milano. Nei pressi di Crescenzago alcuni partigiani intimarono l’alt alla prima vettura, un’Aprilia sulla quale viaggiavano Giovanni Preziosi, la moglie Valeria Bertarelli e il figlio di nove anni, e obbligarono i passeggeri a scendere. Nel mentre sopraggiunse una seconda vettura, da un finestrino della quale un nipote del senatore Vittorio Rolandi Ricci aprì il fuoco contro i partigiani. Nella confusione che ne seguì Preziosi, la moglie e il figlio riuscirono a fuggire attraverso i campi. Raggiunta Milano a piedi trovarono ospitalità in casa di amici. La mattina successiva i corpi di Preziosi e della moglie vennero trovati sul marciapiede di corso Venezia. I due, durante la notte, si erano buttati da una finestra del quarto piano».
Preziosi aveva lasciato un estremo biglietto di congedo, nel quale affermava di aver dedicato la sua esistenza «alla grandezza della Patria». In realtà l’aveva dedicata ad una missione assai più modesta, per non dire infame. Quella di combattere gli ebrei, con l’azione di pubblicista, con l’adesione entusiastica alle leggi razziali, con la delazione. Questo volume è nello stesso tempo una rievocazione dei tempi e dei modi in cui Mussolini, dopo molti ondeggiamenti, si convertì all’antisemitismo, ed una biografia.
Nato nell’ottobre del 1881 a Torella de’ Lombardi, nell’avellinese, Preziosi si era laureato in filosofia, ed aveva poi preso i voti. Fu dapprima uno stimato giovane sacerdote e si occupò molto dell’emigrazione italiana negli Stati Uniti. Ma poi, abbandonata la chiesa e presa moglie, aderì al nazionalismo acceso e all’interventismo - s’approssimava la prima guerra mondiale - dell’economista Maffeo Pantaleoni. Proprio in campo economico Preziosi sferrò, dalle pagine del suo periodico La vita italiana, la sua prima campagna antisemita. Ne fu oggetto la Banca Commerciale Italiana, che aveva tra i suoi massimi dirigenti Giuseppe Toeplitz, Otto Joel, Federico Weil: tutti ebrei, d’origine tedesca Weil e Joel, proveniente dalla Polonia russa Toeplitz.
Canosa racconta le vicende dell’antisemitismo italiano, e racconta in parallelo come Giovanni Preziosi fosse rimasto sempre al margine del potere, coinvolto in polemiche con i gerarchi che contavano, accodato al ribelle Farinacci, a volte utilizzato ma mai apprezzato dal regime tranne che nel truce epilogo repubblichino, quando ottenne un’effimera nomina ad ambasciatore dallo spento Mussolini di Salò. Giurò sull’autenticità dei Protocolli dei savi anziani di Sion, un falso ordito dai servizi segreti zaristi che sarebbe divenuto poi il cavallo di battaglia dell’antisemitismo. Le idee, le affermazioni, i comportamenti di Giovanni Preziosi come d’altri ossessi della persecuzione antiebraica suscitano, quando capita d’occuparsene, invincibile ripugnanza.

Ma in qualche momento - posso confessarlo? - ripugnanza minore di quanta ne susciti l’antisemitismo d’occasione di giornalisti e scrittori del tempo che non erano ossessi, che non erano fanatici, che poi si proclamarono antifascisti in sonno: e che erano soprattutto servi.

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