Alessandro M. Caprettini
da Roma
«Sette buoni motivi per non fidarci di Romano Prodi»: li elenca Roberta Angelilli, eurodeputata di An, dopo indagine mirata sui comportamenti del Professore nel corso della sua quinquennale permanenza a Bruxelles. Si va dalla fuga dalle responsabilità su scandali e scandaletti fioriti nella Ue allostinazione con cui sostenne la candidatura di Lussemburgo contro Parma come sede dellagenzia alimentare; dallasservimento allo «sconto inglese» alla resa incondizionata allexport cinese senza assicurarsi contropartite. Un lungo cahiers de doléance, a tratti ben conosciute, a tratti sorprendenti (come il mancato sostegno ai vini di qualità italiani, francesi e spagnoli oggi minacciati da possibili invasioni di Brunello di Viña del Mar o di Bourgogne targato Hollywood...). Ma a far riflettere, assieme ai tasti suonati ieri dalla Angelilli presentando la ricerca («Romano Prodi, storia di un anti-italiano») sono state le parole di Flavia Perina e di Marcello De Angelis.
La prima, direttore del Secolo e candidata alle politiche, trova strano che nelle biografie del Professore si sorvoli così disinvoltamente sul fatto che il suo cursus honorum sia pressoché nullo nei richiami ad esperienze di base. La stessa elezione alla Camera del 96 (unica in verità di una carriera ormai quasi trentennale) viene trattata in poche righe. «La verità - aggiunge a questo punto la Perina - è che Prodi è un cooptato dei poteri forti. Un uomo che ha sempre evitato il confronto con la democrazia vera», preferendo piegarsi a gruppi imprenditoriali e finanziari per eseguirne il dettato.
Anche Marcello De Angelis, direttore di Area e pure lui candidato in Parlamento per An, ha una analisi non meno pungente: racconta di esser stato colpito, leggendo delle gesta del Professore, non tanto dalle anomalie (tipo quella della creazione assieme a Bolkenstein della famosa direttiva che ha sollevato lira dei sindacati e delle sinistre europee), quanto da «un mistero». Quello per il quale, contro un Berlusconi manager, viene chiamato dalla sinistra un «tecnocrate», prima semplicemente «consigliori di potenti», che dimostra coi fatti di accumulare disastri su disastri.
De Angelis cita le svendite Iri, le privatizzazioni forzose, lingresso nelleuro pagato a caro prezzo. «A questo punto - confessa - delle due luna: o un totale incapace o, come credo, semplicemente un commissario liquidatore». Uno che chiami quando vuoi chiudere qualche azienda o venderla allestero come - aggiunge - fa capire anche il Times che parla di una scelta fatta per far divenire lItalia terra di conquista.
Qualche perplessità anche allestero, in realtà, non manca sul Professore a pochi giorni dal voto nella penisola. LHerald Tribune, che è ledizione europea del New York Times da anni citato come una sorta di Bibbia dai progressisti nostrani, si chiedeva ieri in un editoriale perché mai «Prodi si è incamminato sulla strada polverosa del multipolarismo» di cui, a suo dire, lalfiere sarebbe Chirac che è riuscito a «convertire» e a portare dietro di sé gente come Zapatero e il leader venezuelano Chavez. È una religione, quella del multipolarismo - spiega il quotidiano - che «individua nellAmerica il problema centrale della civiltà».
Certo, sottolinea il quotidiano, la scelta del Professore si può dover attribuire alla sua necessità di «offrire un po di stile verbale, con sottotitoli antiamericani, a un segmento della sua coalizione fatta anche di comunisti, no global e una manciata di spiacevoli estremisti».
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