L’INTERVISTA ANSELMA DELL’OLIO

Anselma Dell’Olio, il femminismo è morto?
«Se per femminismo intendiamo il piagnisteo, direi di sì. Quello ci aveva già stufato. Doveva finire pure prima».
Di lei vorrebbe che si dicesse «ex femminista»?
«No, attenzione. Le definizioni sono importanti. Il femminismo è la filosofia dell’uguaglianza politica, sociale ed economica tra i generi. E chi non è femminista io non voglio nemmeno conoscerlo».
Con il sorpasso numerico sul lavoro, si chiude l’era delle rivendicazioni?
«Direi che si è chiusa l’era delle recriminazioni. Quelle sono petulanti. Chi resta e dice sempre le stesse cose diventa noioso. Deve cambiare tattica».
Siamo davvero di fronte alla più grande rivoluzione sociale di tutti i tempi?
«Eviterei i trionfalismi. I cambiamenti sociali sono lenti. Ma la visibilità è fondamentale. Ecco perché io sono a favore delle quote. Guardi la Clinton. L’effetto Hillary è stato potente: da quando c’è lei alla guida della politica estera americana, i governi fanno a gara per nominare ambasciatrici donne. Sono già 25».
Insomma, non bisogna piangersi addosso, ma qualche conquista da raggiungere c’è ancora?
«Be’, soprattutto in Italia. E poi ricordiamoci che siamo molto più avanti coi titoli di studio e le competenze ma non siamo nelle stanze dei bottoni, nei posti di potere».
Che fare per raggiungere questo traguardo?
«Crederci. Abituarsi a dire: io valgo questo. Le donne restano indietro nei salari già alla partenza. Sono così grate di essere state assunte che nessuna tratta sullo stipendio. Diciamo la verità: abbiamo un problema di autostima mostruoso».
Sempre colpa nostra?
«Colpa anche della società che ci siamo scelti. In Europa, a differenza che negli Stati Uniti, abbiamo barattato la sicurezza sociale con una società meno liberale e quindi più statica e protettiva. In America dove non ci sono coperture sociali le donne sono più avanti».
Basterà l’autostima a farci progredire?
«Ci vogliono anche battaglie concrete.

Quando negli Usa decidemmo che il nostro stato civile non doveva essere merce e perciò non volevamo più che si usasse il termine «signora» o «signorina» (Mrs o Miss invece che Ms, ndr), ci sdraiammo davanti ai camion che distribuivano il New York Times e dopo due ore la nostra battaglia era vinta».

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