«L’Iran pronto a usare l’arma del petrolio»

Gli Usa disposti a revocare le sanzioni varate negli anni 90

Gian Micalessin

Stavolta la parte dell’irriducibile è tutta per l’ayatollah Alì Khamenei. L’occasione, del resto, non lascia spazio a debolezze.
Tra la calca del mausoleo di Khomeini, affollato dagli ultimi duri e puri riuniti per il 18° anniversario della dipartita dell’imam, non vi è spazio per mezze misure. Poco importa che dall’America arrivino indiscrezioni su un’inedita disponibilità di Washington a cancellare le sanzioni imposte negli anni Novanta.
Poco importa che Javier Solana, responsabile della politica estera dell’Unione Europea, sia in viaggio per illustrare ai dirigenti iraniani gli incentivi decisi giovedì scorso a Vienna.
Poco importa che quegli incentivi - approvati dai cinque Paesi membri del consiglio di Sicurezza (Usa, Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna) e dalla Germania - prevedano, forse, anche il sensazionale “dietro front” sulle sanzioni di un’America già dichiaratasi pronta al negoziato diretto.
Lui, Khamenei, massima autorità politico religiosa, deve dimostrarsi degno erede dell’imam. Il suo sermone è innanzitutto una tirata sul nucleare ad ogni costo, un discorso contro «l’America odiata da tutti», un minaccioso proclama in cui s’agita l’arma del petrolio per mettere in guardia chi pensi d’invadere l’Iran.
«Se farete una mossa sbagliata sappiate che i rifornimenti energetici da questa regione saranno seriamente a rischio e voi non sarete assolutamente in grado di proteggerli, chi ci minaccia vedrà la lama affilata della rabbia di questo popolo», ricorda la Suprema Guida rivolgendosi a Washington e ai suoi alleati mentre il mausoleo riecheggia all’urlo di «Morte all’America». Di bloccare la ricerca in nome dei negoziati, fa capire il Supremo Leader, neppure se ne parla. «Un Paese senza un posto di rilievo nel nucleare dovrà dipendere dai Paesi occidentali per i prossimi 20 anni, un leader onesto può forse accettarlo?».
Khamenei si scaglia anche contro chi accusa l’Iran di puntare alla costruzione d’ordigni nucleari. «Non minacciamo alcun vicino, sono accuse sbagliate, semplici menzogne, non vogliamo la bomba atomica, è contro gli insegnamenti islamici», ricorda l’ayatollah già autore di una fatwa contro l’armamento nucleare. Ma nel suo discorso di determinato successore c’è spazio anche per le minacce ai «mercenari del nemico», a quanti lavorano «pagati dal nemico... per indebolire le colonne della virtù del popolo».
L’ultima ad allarmarsi per le scintille verbali di Khamenei sembra Condoleezza Rice. «Meglio non dare troppa importanza a queste mosse, dopo tutto l’Iran dipende dalle rendite petrolifere», osserva il Segretario di Stato facendo notare che «Teheran è a un bivio e ha bisogno di un po’ di tempo per valutare le proprie mosse».
L’accondiscendente posizione della solitamente battagliera Rice diventa più comprensibile se Washington ha veramente, come sostengono le indiscrezioni, accettato di affiancare agli incentivi europei la possibilità di una revoca delle sanzioni imposte negli anni Novanta.


La revoca - fondamentale per l’economia iraniana - verrebbe definita, stando ai “si dice”, attraverso negoziati multilaterali da avviare in caso di sì iraniano alle proposte. L’unica limitazione per la Rice sembra il tempo. Il segretario di Stato ha ripetuto anche ieri che la risposta alle proposte in viaggio con Solana deve arrivare «non nell’arco di mesi, ma entro poche settimane».

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