L’Iran sfida l’attacco Usa: «Non siamo l’Irak»

Ahmadinejad: «America smidollata». Russia e Cina: basta tensioni

Gian Micalessin

Mohammed El Baradei abbandona Teheran ignorato e umiliato e intanto il termometro della crisi sale a vista d'occhio. Gli appelli al negoziato del direttore dell'Agenzia Internazionale per l'Energia atomica (Aiea) sono caduti nel vuoto. I suoi moniti sono stati ignorati. Alì Larijani, il supremo negoziatore iraniano e gli altri dirigenti della Repubblica islamica gli hanno fatto capire senza mezze parole di non volersi uniformare alle pretese del consiglio di Sicurezza dell'Onu e di non aver nessuna intenzione di congelare le attività nucleari entro il termine del 28 aprile. Ma questo, dopo i roboanti annunci sul riuscito arricchimento dell'uranio, era scontato. Meno prevedibile è il temerario orgoglio con cui la Repubblica islamica risponde alle richieste americane di far ricorso all'articolo sette della Carta dell'Onu approvando sanzioni che prevedano - in caso d'inadempienza - l'uso della forza militare. Le autorità iraniane sembrano non solo pronte ad accettare la sfida lanciata giovedì dal segretario di Stato americano Condoleezza Rice, ma addirittura compiaciute dal tono sempre più aspro assunto dalla contesa nucleare.
Il primo a rilanciare - approfittando del suo ruolo di officiante di turno della preghiera del venerdì a Teheran - è Ahmed Jannati, potente segretario di quel Consiglio dei guardiani le cui funzioni di controllo corrispondono a quelle della nostra Corte costituzionale. Jannati rivolgendosi ai fedeli promette «rammarico e dolore» per gli Stati Uniti e per chiunque s'azzardi a neutralizzare con le armi il programma nucleare iraniano. «L'Iran non è l'Irak o l'Afghanistan» avverte Jannati, appellandosi agli altri Paesi islamici della regione perchè non offrano sostegno all'Occidente nel corso di un eventuale attacco. Il tono di Jannati diventa irridente quando sprona i fedeli incitandoli a non farsi intimidire dalle minacce americane perché «gli Stati Uniti sono una potenza decadente e non hanno energia per concludere un bel nulla». Il riferimento è chiaramente all'Irak e alle difficoltà politiche e militari incontrate da Washington. Difficoltà, fa intendere Jannati, che diventerebbero tragedia in caso d'attacco alla Repubblica islamica. «Il nemico deve rendersi conto che l'Iran non può venir paragonato a nessun altro paese al mondo anche perché ora siamo molto più potenti di prima». Il presidente Mahmoud Ahmadinejad non si lascia ovviamente sfuggire l'occasione di ribattere passo dopo passo ai moniti della Rice. «Tutto ciò che abbiamo ci viene da Allah e qualche smidollato non sarà certo in grado di ergersi contro il popolo iraniano» promette con toni da guerra santa il presidente pasdaran sottolineando la potenza conseguita dalla nazione iraniana e la sua capacità di dialogare «da una posizione di forza». La Suprema Guida Ali Khamenei inaugurando una conferenza sulla causa palestinese denuncia invece un «complotto degli Stati Uniti contro Iran, Siria e Libano per dominare il Medio Oriente», ma ribadisce che alla fine sarà solo Washington a farne le spese. «Non piegarsi al nemico e resistere - ricorda la massima autorità politica e religiosa iraniana - è una necessità dettata dalla saggezza e dalla Sharia (la legge islamica)».
Mentre Teheran tira la corda della crisi i suoi alleati cominciano a preoccuparsi. La Russia pur non assecondando né le sanzioni, né l'uso della forza cerca una via d'uscita e invita a Mosca i rappresentanti i Cina, Stati Uniti ed Europa per un giro di colloqui programmati per martedì. «C'è ancora una possibilità per una soluzione diplomatica della crisi - ricorda Sergei Kiriyenko, capo dell'agenzia federale russa per il nucleare, l'Iran ha diritto ad uno sviluppo pacifico dell'energia atomica, ma deve garantire il rispetto degli impegni sulla non-proliferazione nucleare».

La Cina, pronta a tutto per difendere le forniture di petrolio iraniane, ha spedito un suo inviato a Teheran e invita tutti alla calma. «Auspichiamo che tutti adottino un approccio tranquillo - spiega il vice ministro degli Esteri cinese Yang Jiechi - il dialogo è meglio dello scontro. Dobbiamo lavorare insieme per trovare una soluzione».

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