Via l’Irap: per le micro imprese si può

Per la Cassazione i piccoli commercianti e artigiani senza dipendenti non devono pagarla: in arrivo liti e ricorsi. Ora il governo dovrebbe adeguarsi alla sentenza e cambiare le regole. Anche per rilanciare il settore

Le ditte di artigiani che non utilizzano lavoro dipendente e collaboratori e che impieghino un modesto capitale di beni strumentali, secondo la Corte di Cassazione non debbono pagare l'Irap, in quanto non possono essere considerate imprese o aziende. Queste sono un assieme organizzato di fattori produttivi. Dove invece il lavoro è il fattore produttivo quasi unico, non c'è impresa, né azienda, ma lavoro autonomo.
Quindi niente Irap, quando si tratta del lavoro autonomo dell'artigiano: ciò in quanto questo tributo, come dice il suo nome, è una imposta sulle «attività» produttive, ossia su aziende o imprese non su persone. La decisione 15249 è della Cassazione e fa seguito ad altre analoghe. Cominciando con la sentenza del 21 maggio del 2001, che riguardava il lavoro autonomo non strutturato. Nel 2007 la Cassazione ha chiarito la sua tesi stabilendo che l'Irap non è dovuta dai professionisti privi di addetti e collaboratori e dotati di minime attrezzature. Il 26 maggio del 2009 la Corte precisava che l'esclusione riguarda anche i commercianti che operano individualmente e senza attrezzature, come molti agenti di commercio e promotori finanziari. Ed ora, come era logico, la Cassazione afferma che questo principio riguarda anche le micro ditte di artigiani.
Sono centinaia di migliaia di lavoratori che operano al domicilio di famiglie, a volte operano nelle loro botteghe, spesso effettuano manutenzioni e riparazioni in uffici e imprese. Il fisco sino ad ora non si è adeguato a queste sentenze in un modo sufficiente. Con la legge finanziaria del 2008 è stato stabilito il regime di esonero dei contribuenti minimi con fatturato di 30 mila euro e non più di 15 mila euro di beni strumentali acquisiti nel triennio precedente. Ma ciò non risolve il problema degli artigiani lavoratori autonomi. Infatti ciò che conta per la non è l'entità di ciò che fattura il contribuente, ma il fatto se il ricavo deriva da un lavoro autonomo o da una azienda. Un artigiano che opera con la sua abilità e pochi attrezzi può fatturare molto più di 30 mila euro. E l'acquisto di non più di 15 mila euro di beni strumentali nel precedente triennio è un non senso, per delimitare il lavoro autonomo. Un piccolo veicolo che consente all'artigiano di spostarsi a domicilio dei clienti può costare più di questa cifra. Dunque il regime dei contribuenti minimi è insufficiente a risolvere il problema.
In assenza di circolari ministeriali , i contribuenti saranno costretti a versare gli acconti di Irap per non commettere una evasione fiscale. Ma accogliendo i consigli delle loro associazioni di categoria, questi artigiani potrebbero chiedere il rimborso dell'Irap e ricorrere contro l'amministrazione finanziaria che esigesse invece il pagamento di tali somme e che ritenesse anche infedeli tali dichiarazioni dei redditi. Data la sentenza della Cassazione i contribuenti potrebbero vincere i loro ricorsi sin dai primi gradi. E se il fisco si appellasse, poi finirebbe ad avere torto in Cassazione, con tempi lunghi. Questi gli possono consentire di incassare qualche centinaio di milioni ora. Ma alla fine li perderebbe.
L'Irap è una imposta nata male e ora è sempre più zoppicante. Urge una sua riforma.

Ma in attesa che essa abbia luogo appare opportuno che il Ministero dell'economia e finanza intervenga con una risoluzione chiara, che applichi in modo adeguato la nuova sentenza della Cassazione e dia certezza al contribuente, evitando di intasare di inutili controversie il contenzioso tributario, che è già per conto suo sovraccarico.

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