L’italianità dimenticata

La Telecom finalmente ha i suoi vertici. Molti festeggiano il ritorno di Franco Bernabè, molti altri, e noi fra questi, lo ritengono un errore. Prima di parlare di Bernabè cerchiamo di capire, però, come mai alcuni colossi bancari e assicurativi hanno deciso di entrare in Telecom, acquistandone la partecipazione che aveva la Pirelli di Tronchetti Provera. Poco più di un anno fa Unicredit e Banca Intesa uscirono da Olimpia, la scatola messa in piedi da Tronchetti Provera che controllava il 18 per cento della Telecom. Alcuni mesi dopo per i noti contrasti con il governo e poi con Guido Rossi, subentrato alla guida dell’azienda, Tronchetti decise di vendere Olimpia. Tutti a stracciarsi le vesti perché veniva messa in discussione l’italianità della Telecom. Giusta preoccupazione. Ma perché, allora, molti si sono dati da fare per far uscire dalla Telecom Pirelli e Tronchetti Provera? Pirelli non era forse uno dei grandi gruppi industriali del Paese, e peraltro tutto italiano?
Siccome in economia, e più ancora nella finanza, non si agisce per antipatia o simpatia ma solo per interessi spesso inconfessabili, è segno che Pirelli non rispondeva al disegno di potere dei maggiori sponsor di questo cambiamento. E cioè Bazoli e Passera. Il primo amico di Romano Prodi, il secondo carissimo amico di Carlo De Benedetti. Si incomincia così a intravedere la chiave di lettura di questa storia stranissima fatta di silenzi, di pressioni anomale, di omertà e finanche di paura.
L’operazione, per essere completata, doveva però concludersi con l’arrivo di un manager gradito agli sponsor che avevano ostacolato Tronchetti Provera. Ed ecco pronto il sempre giovanile Franco Bernabè, amico di Carlo De Benedetti, di Passera e di Veltroni, nonché acerrimo avversario di Massimo D’Alema. Ma come mai Cesare Geronzi, presidente di Mediobanca, si è fatto convincere? Geronzi ha una sua tradizionale trasversalità, ma in questo momento la sua presidenza è quanto mai fragile, attaccata com’è da una serie di indagini giudiziarie. Geronzi, ne siamo certi, potrà dimostrare nel tempo la sua estraneità alle accuse, ma per intanto la sua fragilità ha fatto premio. Ecco spiegata allora la sua adesione, mentre il presidente di Unicredit, Dieter Rampl, non ha condiviso la scelta dei nuovi vertici. E Rampl ha ragione da vendere. Come è noto Bernabè è un uomo di finanza e di petrolio, non certo di telecomunicazioni, ed è un esperto dei servizi segreti, avendo fatto parte di quella commissione che li riformò vent’anni fa.
Quando, per una serie di contingenze, Bernabè dovette lasciare in fretta e furia l’Eni e approdò alla Telecom, l’unica strategia che mise in piedi fu il tentativo, poi fallito, di mettere la nostra azienda delle telecomunicazioni nelle mani della Deutsche Telekom, pur di non farla acquisire da Colaninno e compagni. Ma Bazoli, Passera, il governo e i maggiori quotidiani non avevano a cuore l’italianità dell’azienda insidiata dagli spagnoli di Telefonica dopo il coatto abbandono di Tronchetti? E perché allora si sono affidati a Franco Bernabè, manager afflitto da esterofilia e che già una volta tentò di far diventare tedesca la nostra Telecom? La risposta è a un tempo semplice e disarmante.
L’italianità, il rilancio industriale, l’internazionalizzazione in questa scelta c’entrano come i cavoli a merenda. È stata solo un’operazione di puro potere fatta dai soliti noti in un Paese nel quale due gruppi bancari controllano, intrecciandosi, parte rilevante della finanza bancaria e assicurativa, la più grande azienda manifatturiera (la Fiat), la maggiore azienda di servizi (la Telecom) e un autorevole network informativo (Stampa, Rcs Corriere della Sera e Sole 24 Ore).

Questa concentrazione non ha precedenti in altri Paesi ed è «in re ipsa» una concentrazione illiberale. Chi in questi giorni, per convenienza o per paura, ha taciuto speriamo che domani non abbia a pentirsi, anche perché nessuno potrà dire che non sapeva.
Geronimo

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