L’Ocse sbaglia, la recessione non tornerà

La Bce non crede alle stime su un brusco stop della ripresa perché i Paesi in via di sviluppo sono in forte crescita e trainano l’export europeo. Ma per vendere all’estero dobbiamo rafforzare la competitività, cioè seguire il modello Fiat di Pomigliano

L’Ocse sbaglia, la recessione non tornerà

La notizia che, secondo l’Ocse,l’Italia nel terzo trime­stre potrebbe registrare un ca­lo del prodotto interno lordo dello 0,3% su base trimestra­le annualizzata è priva di sen­so. Infatti 0,3 per un trimestre su base annua vuol dire 0,3 di­viso 4, cioè 0,075. E poiché la valutazione in questione, co­me l’Ocse stessa ammette, ha un margine di errore, essen­do fatta sui dati provvisori sui primi due mesi ne viene solo la previsione di un terzo tri­mestre simile al secondo. L’Ocse,nel suo bollettino,pe­rò non si limita a questo dato. Esprime anche un pessimi­smo sulla ripresa economica mondiale, basato sulla fissa­zione degli economisti di scuola keynesiana che le eco­nomie siano trainate soprat­tutto dalla domanda di consu­mi. Date le misure fiscali re­strittive degli stati europei, la domanda di consumi in Euro­pa non cresce, e in alcuni Pae­si europei e negli Usa, ove, a differenza che inGermania o Italia, la disoccupazione è au­mentata molto, la domanda di consumo anzi si è indeboli­ta. L’Ocse ammette però che, poiché le imprese hanno bi­lanci positivi, esse possono aumentare gli investimenti: soppesando questi due fatto­ri, l’Ocse rimane in bilico fra la previsione di una nuova re­cessione e un rallentamento nella crescita con cui i Paesi colpiti dalla crisi stanno uscendo gradualmente dalla recessione. Ma il rischio di una nuova recessione è da escludere. Lo spiega bene la Bce, la Banca Centrale Euro­pea, che prevede una cresci­ta rallentata nella seconda parte dell’anno sia per l’Euro­pa che per gli Stati Uniti. Que­sti speravano erroneamente in un recupero rapido, dati gli ingenti deficit di bilancio che hanno messo in campo per stimolare l’economia as­si­eme a politiche generosissi­me dalla banca centrale, la Fe­deral Reserve. Perché è giusta la valutazio­ne di un rallentamento della crescita, e non quella della ri­­caduta nella recessione, la co­siddetta doppia v, che sta a in­dicare due punte negative, cioè una recessione ripetuta due volte? La ragione è che le economie dei Paesi in via di sviluppo sono in crescita ro­busta, sia in Asia che in Ameri­ca Latina e, generalmente, an­che in Africa,mentre l’Est eu­ropeo è in recupero e i Paesi petroliferi non patiscono la crisi. Il basso tasso di interes­se ( quello della Federal Reser­ve degli Usa, dello 0,5, data l’inflazione dell’1,5%è negati­vo) consente a tali Paesi di in­vestire a buon mercato, trami­te capitali ottenuti sul merca­to finanziario internaziona­le. E ciò permette ai Paesi svi­luppati che esportano di ave­re crescita economica e di ri­durre la disoccupazione, an­che se i loro governi attuano manovre correttive con cui ri­ducono il deficit di bilancio. Anzi ciò accade proprio gra­zie a tali misure, che, accre­scendo la solvibilità del debi­to pubblico, migliorano la po­sizione delle banche, che nel loro patrimonio hanno cospi­cue quote di tali titoli. Dun­que non c’è pericolo di una doppia V ovvero di una rica­duta nella malattia, da cui sia­mo convalescenti. Ma il recu­pero rispetto alla recessione sarà più o meno intenso e più o meno rapido, a seconda del­la capacità di competere e quindi di esportare di più e di importare di meno, con ri­guardo ai prodotti per cui sia­mo in concorrenza con gli al­tri stati. E qui interviene un av­vertimento della Bce, che ri­produco testualmente «I Pae­si che in passato hanno subi­to una perdita di competitivi­tà dovrebbero adottare pro­fonde riforme tese a potenzia­re la crescita della produttivi­tà nel mercato del lavoro: tali misure dovrebbero assicura­r­e che il processo di contratta­zione dei salari ne consenta un adeguamento flessibile e appropriato alle perdite di competitività».

In sostanza, è la tesi di Sergio Marchionne per la Fiat, che la Confindu­stria e i sindacalisti saggi co­me Raffaele Bonanni sosten­gono per l’Italia nel comples­so e che il governo Berlusco­ni favorisce con riduzioni di imposte sui redditi collegate alla produttività aziendale. Ora ce lo dice anche Jean Claude Trichet, presidente della Bce. Si merita anche lui un candelotto fumogeno sul vestito?

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