L’ufficiale giudiziario bussa ancora al «Leonka» E per la ventisettesima volta non se ne fa nulla

Anche questa volta è finita come le precedenti 26: sfratto rinviato per il centro sociale di via Watteau 7, meglio noto come «Leonka», da via Leoncavallo, nome della strada su cui si affacciava il primo stabile occupato nel 1975. Trentacinque anni di polemiche e anche di duri scontri di piazza, che seguirono a un paio di sgomberi.
Continua così la saga infinita di una sigle più «antiche» nella galassia della sinistra radicale, passata attraverso le tante stagioni dell’antagonismo milanese. Dalla contrapposizione più dura durante gli anni di piombo, con strette contiguità con il terrorismo rosso, alla quasi istituzionalizzazione delle ultime stagioni. Tanto che ormai il «Leonka» viene visto come un covo di piccoli borghesi dai duri e puri del «Vittoria», «Panetteria», «Cox», o «Cantiere» dove vengono ospitati periodicamente ex appartenenti alle Brigate rosse o alla omologa «Rote Armee Fraktion» tedesca. Renato Curcio, per dirne una, già passato al «Cox» il 25 aprile, giovedì 2 dicembre tornerà in città, ospite questa volta del «Vittoria».
Quelli del «Leonka» di rivoluzionario invece hanno ormai solo il nome e la tradizione. Dopo vent’anni passati nell’area compresa via Leoncavallo e Casoretto, con un paio di sgomberi finiti in guerriglia urbana, nel 1994 gli occupanti passarono infatti, con una sorta di tacito accordo con i Cabassi, proprietari dell’area, in via Watteau a Greco. Uno spazio enorme, 4mila metri quadrati coperti più altri 6mila di scoperto, dove i «centrosocialisti» rimasero indisturbati per cinque anni.
Solo nel 1999 infatti i Cabassi chiesero la restituzione dell’area, iniziando nel contempo una trattativa per ottenere l’edificabilità di una pari cubatura su altre area di proprietà. A quel punto lo spazio, perdendo ogni valore edificatorio, potrebbe essere affittata a un prezzo politico. Si parlò anche di una cordata di garanti, tra cui la famiglia Moratti, per evitare morosità.
Questa insieme ad altre iniziative per sanare l’annosa questione, sono però rimaste nel mondo delle buone intenzioni, mentre si susseguivano, a una media di due o tre all’anno, le visite dell’ufficiale giudiziario. Puntualmente concluse «tornerò tra un paio di mesi». Quest’anno è già successo tre volte: il primo sgombero infatti era previsto per il 19 luglio, con immediato rinvio al 28 settembre, scivolato poi al 29 novembre. Ieri mattina, puntuale come una cambiale, l’ufficiale giudiziario ha bussato di buon’ora al portone del numero 7, per notificare l’avviso di sfratto.

Da dentro gli hanno come sempre risposto di non aver nessuna intenzione di lasciare lo stabile e così ogni intervento è stato rimandata al 28 gennaio. Quando, facile prevedere, la stessa scenetta verrà riproposta con l’identico umoristico finale.

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