L’ultimatum di Israele ai palestinesi: «Negoziate o decidiamo noi i confini»

Il governo Olmert concede sei mesi: «Se Hamas dialoga, bene. Altrimenti si procede senza accordi»

L’ultimatum di Israele ai palestinesi: «Negoziate o decidiamo noi i confini»

Gian Micalessin

Trattare o accettare il proprio destino. Negoziare o lasciare che sia Israele a definire i propri confini e quelli del futuro stato palestinese. E decidere in fretta perché il governo di Ehud Olmert non aspetterà oltre la fine dell’anno. L’ultimatum, pesante come un macigno, cancella anche il fuggente sollievo regalato dalla decisione del Quartetto diplomatico di creare un fondo d’aiuti temporanei. Quegli aiuti possono evitare una catastrofe umanitaria e consentire forse anche il pagamento degli stipendi, ma non risolveranno il nuovo dilemma del governo di Hamas. Ora l’organizzazione fondamentalista deve decidere se accettare una nuova sfida o rassegnarsi a riconoscere Israele, rinunciare alla lotta armata e sedere al tavolo dei negoziati. Dal loro punto di vista è quasi una roulette russa. Rifiutando il premier Ismail Haniyeh ed i suoi lasceranno mano libera ad Israele assumendosi la responsabilità storica di una spartizione della Cisgiordania insoddisfacente per il popolo palestinese. Accettando il governo di Hamas, privo di qualsiasi sostegno internazionale, rischia di ritrovarsi costretto a delegare ogni trattativa al presidente Mahmoud Abbas.
Il primo ultimatum sul piano di convergenza arriva per bocca del ministro della giustizia Haim Ramon. «Da qui alla fine del 2006 faremo dei tentativi onesti per dialogare con l’altra parte, ma se risulterà chiaro che non esiste un partner negoziale e anche la comunità internazionale ne sarà convinta - avverte il ministro - prenderemo il destino nelle nostre mani per non lasciarlo in quelle del nemico». Le parole di Ramon, uomo vicinissimo al premier, suggellano l’impazienza espressa da Ehud Olmert in un discorso pronunciato 24 ore prima. «Se dopo aver atteso uno, due o sei mesi non vedremo cambiamenti - aveva detto il primo ministro - andremo avanti anche senza accordi e senza negoziati per definire dei confini accettabili per Israele».
La prima ad addolcire l’ultimatum, pur sostenendo la necessità di misure unilaterali, è la signora Tzipi Livni. Per il ministro degli Esteri e numero due del governo spiega il discorso di Olmert non fissa alcun termine per l’avvio del piano di convergenza anche perchè fra le necessità preliminari, ignorate dal ministro della giustizia Ramon, vi è quella di colloqui con i leader internazionali.
Hamas cerca intanto di eludere la scadenza accusando d’ambiguità gli israeliani. «Le parole di Ramon sulla disponibilità al negoziato sono solo un tentativo d’ingannare il pubblico – dichiara il portavoce Ghazi Hamad - loro non vogliono alcun negoziato e non sono disposti a concederci alcun diritto». Per tutta risposta il portavoce rilancia la consueta proposta, già dichiarata inaccettabile da Israele, di una tregua di lunga durata in cambio di un ritiro sui confini del 1967. Mahmoud Abbas - con cui Israele ha già chiarito di non voler negoziare se Hamas non accetterà la trattativa - tenta di tornare in gioco annunciando di esser pronto a discutere da subito. «Il presidente – fa sapere il negoziatore palestinese Saeb Erekat - è pronto a riprendere in qualsiasi momento i colloqui».
La decisione del Quartetto diplomatico di creare un fondo speciale della durata di tre o quattro mesi per convogliare aiuti d’emergenza ai palestinesi è arrivata martedì notte dopo una riunione in cui i rappresentanti di Europa, Nazioni Unite e Russia sono riusciti ad incrinare la linea dura assunta dagli Stati Uniti. Il fondo finanziato dagli europei distribuirà aiuti ad organizzazioni umanitarie e alla presidenza di Mahmoud Abbas evitando finanziamenti al governo di Hamas. Le condizioni sono state dichiarate accettabili anche dal ministro degli Esteri israeliano Tzipi Livni.
I palestinesi devono intanto fare i conti con il taglio del carburante annunciato dalla Dor, la ditta israeliana che detiene il monopolio delle forniture e vanta crediti per 26 milioni di dollari.

Contrariamente a quanto annunciato dopo il blocco delle rimesse fiscali il governo israeliano ha fatto sapere che non metterà a disposizione i circa 55 milioni di dollari dovuti mensilmente ai palestinesi per pagare il buco della Dor.

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