L’unica ricetta per il fisco: abbassare le tasse

Ernesto Galli della Loggia ha scritto sul Corriere della sera un articolo sull’evasione fiscale in Italia, che mi pare stupefacente. Innanzitutto il punto di partenza, l’evasione che egli afferma essere 300 miliardi e cioè pari al 20% del Pil. La pressione tributaria in Italia oggi è, al netto dei contributi sociali, il 28% del Pil. L’evasione più nota è quella dell’Iva, stimata in 3-4 punti di Pil, e dunque fra i 45 e i 60 miliardi.
L’Irpef, su cui si sofferma Galli della Loggia, dando l’impressione che lì si annidi la maggior evasione, frutta alle casse del Tesoro oggi il 12% del Pil. Secondo Galli della Loggia quanto dovrebbe dare, se tutti la pagassero? Se dicessimo il 20 per cento, ciò darebbe luogo ad una percentuale di evasione di due terzi dell’imposta oggi pagata; una (...)
(...) cifra poco verosimile. Ma se c’è questa enorme evasione di Irpef, come può Galli della Loggia sostenere che essa riguarda essenzialmente il lavoro autonomo e i ricchi ovvero la borghesia? Egli si degna perché la quota di contribuenti con reddito elevato nell’Irpef è molto bassa e imputa ciò automaticamente all’evasione. Ma la realtà è diversa.
Per sua natura l’imposta personale progressiva sul reddito fallisce quando pretende di tassare gli alti redditi con alte aliquote. Infatti chi dirige una impresa o una banca e ne è azionista, non è obbligato a distribuire a se stesso il reddito che ne ricava. Lo può fare affluire a una società, che aumenta di valore e poi la può vendere realizzando un guadagno di capitale che non è tassato o è tassato con aliquota proporzionale. I redditi delle società per azioni di cui le persone fisiche non hanno il controllo sono tassati con una cedolare secca. E lo stesso le obbligazioni, i Bot, i depositi bancari. I redditi agricoli e di attività connesse sono tassati in base a valori catastali. Accanto a questi fenomeni fisiologici del fallimento dell’imposta personale progressiva ad alte aliquote ci sono i trucchi, cioè le elusioni fiscali legali. I grandi manager vengono pagati solo in parte con redditi in denaro, perché ottengono benefici in natura di vario genere. Essi inoltre ricevono bonus consistenti in opzioni sulle società che gestiscono e possono arricchirsi con il loro aumento di valore. Ma sorge il quesito se non sia logico che si favoriscano fiscalmente coloro che sviluppano le imprese e creano ricchezza. I sistemi fiscali con elevata progressività fingono di tassare equamente i grandi manager e i ricchi, così essi possono fare i progressisti. Ma sono più seri i sistemi fiscali con aliquote moderate in cui queste finzioni giacobine non hanno luogo. La tesi per cui sono soprattutto gli autonomi che «evadono» le imposte è un cliché della sinistra di classe di derivazione marxista, che piace ai giacobini. Ma gli autonomi contrariamente a quello che vuol far credere (o forse crede) Galli della Loggia non sono mediamente più abbienti dei lavoratori dipendenti, perché sono una categoria eterogenea di cui fanno parte milioni di artigiani, di micro imprese dei servizi e delle nuove professioni, oltreché una parte degli stessi lavoratori dipendenti e dei pensionati che svolgono attività collaterali. Si tratta del vivaio da cui nascono e poi crescono le piccole e le medie imprese che sono la maggior forza dinamica della nostra economia. E una parte dei loro redditi è tassato con gli studi di settore a forfait. Si può discutere se ciò sia sensato (io non lo credo) ma non è evasione. Accanto all’Irpef e all’imposta sulle società pagano l’Irap e spesso l’Ici. L’imposta di registro sulle vendite di immobili è un esorbitante 10 per cento. Certo, vi sono larghe evasioni, di redditi di varia natura. Si possono controllare con il redditometro da me inventato e poi sepolto dai ministri che (contrariamente a me) propugnano le imposte progressive giustizialiste. Comunque se dal giudizio moralistico si passa al ragionamento economico bisognerebbe ricordare che le imposte in economia di mercato servono per finanziare le spese pubbliche, e che la distribuzione dei redditi si può modificare essenzialmente con le spese. Secondo Galli della Loggia sarebbe «una favola» la affermazione che riducendo le aliquote si riduca l’evasione e quella che riducendo la tassazione possa aumentare il gettito. Ma se le imprese fossero tassate di meno, ci sarebbero più investimenti e più crescita. E la convenienza a evadere aumenta quando il guadagno illecito così ottenuto è più grosso, perché i costi dell’evasione non crescono in proporzione. E inoltre le imposte esose e sbagliate riducono il biasimo sociale dell’evasione.

Un sistema fiscale più equo con una spesa pubblica più produttiva genera una migliore concezione del dovere fiscale. Tutte cose che i giacobini fiscali non capiscono. Ma che la gente comune ha percepito e che è fra le ragioni per cui vota per il centrodestra.

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