L’Unione chiama le badanti per sorvegliare Prodi

Ancora tensioni nella maggioranza sul partito democratico. I Ds: «Manca una visione comune»

Antonio Signorini

da Roma

Lo schema è quello classico delle batoste. Prima una motivazione nobile che suona quasi come un’offerta d’aiuto. Poi un gesto di sfiducia che come intensità è secondo solo ad una richiesta di dimissioni: l’«affiancamento». Ad applicarlo è stato il vicepresidente del Senato Gavino Angius, esponente di punta dei Democratici di sinistra e dalemiano di ferro. A subire il colpo, il presidente del Consiglio Romano Prodi. In un’intervista al Quotidiano nazionale, Angius ha rivelato un’idea che gli venne a inizio legislatura: «Proposi di creare un coordinamento politico composto dai partiti, e magari dai loro segretari, che affiancasse il governo». E ora la ritira fuori, proprio nel momento più difficile per il presidente del Consiglio provato dal caso Telecom. Il senatore Ds propone «di non lasciare solo Prodi, di non scaricare su di lui ogni responsabilità». Ma più che agli oneri del dossier Rovati, Angius pensa alle scelte della Finanziaria 2007. «Prodi dovrebbe impegnarsi di più nell’opera di mediazione - spiega Angius - il governo ha tutto l’interesse ad avere buoni rapporti non solo con l’opposizione ma soprattutto con la propria maggioranza, che non può essere ridotta a una somma di gruppi di parlamentari assenzienti».
Con l’esame della manovra in Parlamento, avverte Angius, «è possibile che nella maggioranza emergano dissensi: vorrei semplicemente che l’esperienza di questi giorni servisse da lezione, vorrei che il centrosinistra non si lasciasse cogliere impreparato. In sintesi - prosegue - occorre che i partiti e i gruppi parlamentari siano coinvolti direttamente nelle scelte del governo». E che il timore di un eccessivo accentramento di potere a Palazzo Chigi sia un tema all’ordine del giorno, lo dimostrano le parole del ministro alle Politiche europee Emma Bonino alla direzione nazionale della Rosa nel pugno: «Per me l’articolo 92 della Costituzione sulla collegialità del governo non è un optional. Non sono Di Pietro, per intenderci. Noi non abbiamo motivi di ricatto, ma se li avessimo per nostra tradizione non penso che li useremmo».
Nel ragionamento di Angius rientra anche il Partito democratico che, secondo il senatore, non deve diventare «una struttura al servizio del premier. Un partito nasce quando è portatore di una visione, e di questa visione oggi non c’è traccia». Angius non spiega se, secondo lui, il premier in carica è la persona giusta per costruire questa visione comune. Quello che è certo è che se verrà fondato, lui non lascerà per questo il Partito socialista europeo, come gli ha chiesto il vicepresidente della Camera Pier Luigi Castagnetti (Margherita). E per questo incassa un rimbrotto da Franco Monaco, esponente prodiano dei Dl: «Chi pone aut aut, in un senso o nell’altro, di fatto lavora contro il progetto» del Partito democratico. E comunque questo «non è il primo dei problemi».
Viene prima il sostegno al governo, quindi. E soprattutto al suo premier che ieri ha assicurato di essere «rilassatissimo», ma che nei giorni scorsi aveva detto «se vado a casa io non sarò il solo». Una prospettiva che non è piaciuta a Rifondazione comunista e Verdi, che ieri hanno dato rassicurazioni sulla tenuta della maggioranza. Tutti a casa? «È Prodi il timoniere, è lui che ci dà il tempo.

Ed è evidente che siamo tutti insieme su questa barca», ha aggiunto il leader della Margherita Francesco Rutelli. Se il centrosinistra è una barca, gli ha replicato Roberto Calderoli della Lega Nord, «allora è certamente il Titanic, che del resto ha già visto aprirsi le sue falle centrando il suo iceberg».

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