L’Unione esce a pezzi dal super vertice sulla riforma del voto

I partiti minori: «Il Pd privilegia l’accordo con Berlusconi». Fabris: «La maggioranza non c’è più»

L’Unione esce a pezzi dal super vertice sulla riforma del voto

Roma - «Dalla bozza Bianco non ci si sposta, iniziamo a votare e la trattativa continuerà nell’iter parlamentare», ha esordito la Finocchiaro mentre Franceschini annuiva con fare compunto. Ed è subito scattata la reazione dei piccoli, a dimostrazione che la guerra fratricida dilania l’Unione e che la partita di Veltroni è al punto decisivo: o vince in casa, per quanto pericolante, e piega coi cespugli anche Prodi, oppure perde tutto. «Tanta arroganza della Finocchiaro si spiega solo se c’è un patto di ferro tra Partito democratico e Forza Italia per andare in aula con la loro riforma elettorale», lamenta Antonio Satta vicesegretario dell’Udeur. «Se le cose stanno così, per noi diventa ora prioritario calendarizzare il conflitto di interessi e la riforma radiotelevisiva», minaccia il capogruppo verde Bonelli. «C’è una spaccatura molto forte», ammette per il Pdci la Palermi minacciando di non votare più il finanziamento della missione in Afghanistan.

Quando la partita si fa dura, i duri cominciano a giocare, no? Nel centrosinistra però, è difficile soppesare chi sia più duro. Trentatrè, come i trentini che andavano trotterellando, erano ieri i partecipanti al mega vertice iniziato alle 18.30 al Senato e conclusosi alle 21 con un nulla di fatto. Anzi, con accuse e minacce mai sentite tra i «vincitori» del 2006. Il loro futuro è incerto: il trotto potrebbe farsi impetuoso sino alla caduta del governo, o portare al referendum, ma anche alla riforma elettorale. Tant’è che oggi la commissione Affari costituzionali del Senato si limiterà a mettere in calendario la bozza stilata dal suo presidente, Enzo Bianco, aspettando la sentenza della Corte costituzionale sull’ammissibilità del referendum, che è attesa per domani e sarà certamente positiva. Alla Camera però, gli amici/nemici di Veltroni, col beneplacito del premier, tenteranno proprio oggi di calendarizzare il conflitto di interessi e la Gentiloni, «per rompere l’asse con Berlusconi».

Col Pd sta Rifondazione e Sinistra democratica, non ci stanno Pdci e Verdi perché temono di legarsi mani e piedi alle due formazioni più forti della sinistra estrema, lo Sdi perché tiene alla propria identità e non ha sponde, l’Udeur che al modello iberico-catanese preferisce piuttosto il referendum perché come spiega Mastella «per il premio di maggioranza al Senato siamo determinanti in cinque regioni: e tra Veltroni e Berlusconi vedremo chi ci apprezza di più», e infine Italia dei valori che le firme per il referendum le ha pure raccolte. Più i micro come Manzione, il diniano D’Amico.

Tant’è che se ne sono andati guatandosi in cagnesco, e son rimasti a parlottare quelli del Pd, Prc e Sd, mentre dal Sudamerica Bertinotti mandava a dire a tutti, anche a Prodi, che «sulla legge elettorale nessuno ha diritto di veto». E Mauro Fabris ripete: «È certificato che la maggioranza non c’è più».

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