L’Unione non ha ancora vinto e già pensa alla crisi di governo

Rutelli: «Se Prodi cadrà si deve tornare alle urne ma Fausto non ripeterà gli errori del ’98». Bertinotti: «Non sono pentito di quella scelta». Sui Pacs, tensione tra la Rosa nel pugno e gli alleati

Roberto Scafuri

da Roma

Si parte dalla fine, dalle assicurazioni e dalle rassicurazioni. Facce speculari della stessa medaglia. Fausto Bertinotti assicura per l’ennesima volta che nel ’98 non fu un «errore politico» la fine dell’appoggio al governo Prodi. «Non mi sono affatto pentito», ripete, spiegando come, rispetto ad allora, tutto sia cambiato. A partire dall’orientamento delle stesse forze politiche del centrosinistra: oggi Rifondazione si pone invece come perno dell’alleanza, prova ne sia il ruolo di mediazione che Bertinotti svolge tra i leader unionisti. Altra faccia della medaglia è quella di Francesco Rutelli. Che la rovescia dalla propria parte, assicurando: Bertinotti «non ripeterà gli errori del ’98»; se il prossimo governo dovesse cadere, «si va alle elezioni, non ci sarà nessun pasticcio».
Una commedia degli equivoci, sembrerebbe. Giri di parole inquietanti sulla morte di un governo non nato. Eppure giocando tra gli specchi, emergono rassicurazioni che consentono a Prodi di sperare e ironizzare sul programma di 300 pagine che dovrebbe essere discusso dai leader in un vertice odierno e sottoscritto da tutti entro sabato. «Non ci dovrebbero essere sorprese, anche se poi sorprese nella vita ce ne sono sempre, ma siamo abituati ad affrontarle...»: Prodi (ieri a Berlino) parla del programma eppure sembra parlare di sé e del suo eventuale governo. Non saranno le formulazioni di compromesso sui Pacs (anzi, «unioni civili», invita a chiamarle il Professore) e i tanti compromessi a determinarne le sorti. Nessuno dei contraenti si aspetta miracoli, e tanto Bertinotti che Rutelli possono fornire rassicurazioni quasi sovrapponibili: «Il programma è frutto di un compromesso, concordato da tutti, che sarà sottoscritto da tutti e impegna tutti...».
Le posizioni diverse restano, «altrimenti saremmo un partito unico» (Rutelli), e «chi avrà più filo tesserà più tela» (Bertinotti). Dunque sarà la politica, segnatamente la politica di Prodi, a tracciare la rotta per la nave che verrà, se verrà. Per ora conviene attestarsi sulle rassicurazioni. Quella di Rutelli sul ricorso alle urne è di peso: significa che il capo della Margherita non offre disponibilità a giochi diversi: nessuno spazio per la «grosse koalition» alla tedesca, anche in caso di debole maggioranza parlamentare. Un vaso di costrizione che testimonia altri due fattori: la campagna elettorale di rincorsa ai ceti moderati dichiarata da Rutelli mira a sottrarli al centrodestra, perché lo spazio d’azione nel centrosinistra per la Margherita è ridotto all’osso. E, secondo fattore, sarà semmai questa «opa» trans-polare a rendere più forte la Margherita, altrimenti in netta minoranza rispetto all’asse principale del governo, che è quella Prodi-Bertinotti. L’esistenza di una forte polemica con la Rosa nel pugno - ancora ieri sono volati stracci su Pacs, sudditanza a Ruini e laicità -, affievolisce ulteriormente la Margherita.
Anche per questo, il ruolo di Bertinotti nella nuova Unione è del tutto differente dal passato. Tanto che ieri il segretario ha voluto ridimensionare quella che potrebbe essere uno dei veri punti di crisi della coalizione, ovvero il rapporto con i movimenti civili e sociali sul quale si fonda la politica di Prc. «Quello dei movimenti è un investimento politico - spiega Bertinotti -: fanno parte a pieno titolo del disegno futuro di un Paese sul quale il centrosinistra dovrà confrontarsi». Non sarà cioè lui, «la spina nell’Unione, piuttosto mi sento un fianco: la vera spina fruttuosa saranno i movimenti». Da ciò la necessità di «aprire un dialogo con la comunità locale» nel caso della Tav, per esempio. Oppure opporsi a quell’«urtante accanimento contro la realtà giovanile», denunciato a proposito della nuova legge anti-marijuana. O ribadire, sia pure a titolo di polemica, la posizione sugli sfratti: «La Pira era un sindaco cattolico eppure requisiva le case... Dov’è lo scandalo se si usano gli alloggi sfitti delle grandi proprietà immobiliari per assegnarli temporaneamente ai senzatetto pagando un affitto pubblico, mentre il pubblico pensa a costruire edilizia?...».
Insomma, se il progetto del Partito democratico «è come l’Araba fenice, nulla di più indefinito», i riformisti della coalizione «sono molto più indietro della sinistra radicale nella ridefinizione del proprio campo». Ma per mantenere questa posizione cardine nella coalizione, Bertinotti ha bisogno che l’ala più distante dalla politica parlamentare, quella dei Disobbedienti alla Caruso, sappia crescere in fretta. «Proporrei a Caruso e anche agli altri esponenti politici dell’Unione di firmare un armistizio - dice Bertinotti -: ognuno dica le proprie proposte ed eviti di definire gli altri candidati inaccettabili o peggio. Meglio scegliere un atteggiamento di igiene ed evitare questi atteggiamenti rissosi.

Per fortuna l’Unione non è un regime di caserma e vincolante e solo il programma. Alcune opinioni personali di Caruso sono le sue, e non c’è ragione di sostenerle». È un passaggio delicato, che richiede un vero spirito di solidarietà nell’Unione. Non è detto che vi sia.

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