L’università e i colori dell’ideologia

L’università e i colori dell’ideologia

Un quotidiano danese ha potuto, in barba a Maometto, mettere a soqquadro il mondo islamico. Ma in Italia incidenti di questo tipo non ne accadranno. Alcuni presidi dell’Università Roma Tre si sono fermamente opposti all’allestimento d’una mostra «satanica». Una mostra, intendiamoci, il cui tema non aveva nulla a che vedere con la suscettibilità degli appartenenti a una qualsiasi religione: semplicemente la mostra doveva essere dedicata - ricorrendo la «giornata del ricordo» - alla tragedia delle foibe, le cavità carsiche in cui finirono a migliaia, per mano delle milizie jugoslave di Tito, italiani accusati d’essere stati fascisti, o soltanto d’essere italiani. L’iniziativa, riconosciamolo, aveva un grave vizio d’origine: l’avevano promossa dei ragazzi di destra, e si sa che negli ambienti universitari questa etichetta non facilita la vita a nessuno. Tanto che se un ministro di An come Alemanno viene invitato a un incontro, si scatena contro di lui la guerriglia degli antifascisti puri e duri. Le motivazioni ufficiali che le autorità accademiche hanno addotto nella circostanza per porre il loro veto alla mostra non avevano in apparenza risvolti politici. Le immagini che avrebbero dovuto essere esposte peccavano, è stato spiegato, d’eccessiva crudezza, e non era il caso di turbare la sensibilità di docenti e discenti. Il problema era insomma d’opportunità e di galateo estetico.
Questa spiegazione non convince per niente. Il no opposto alla mostra sa lontano un chilometro d’intervento «politicamente corretto», di altolà a una sfilata d’immagini e di testi dedicati al martirio dei giuliani e istriani sotto il tallone comunista. Nessuno si sogna di negare che la documentazione sulle foibe sia agghiacciante. Mi guarderei bene dal mostrarla a un bambino. Ma i locali universitari non sono frequentati da chi va alla scuola materna, sono frequentati da ragazze che vogliono e debbono confrontarsi con il nostro passato nazionale, e con le sue pagine più cupe e più turpi. Non vi sono esitazioni - è giusto che non ve ne siano - quando si tratta di mostrare le istantanee orrende di partigiani impiccati. Non vi sono esitazioni - è giustissimo che non ve ne siano - nel riproporre quotidianemente, in tv, nella stampa, in libri la vicenda spaventosa dei campi di sterminio nazisti, e dei superstiti che ne uscirono dopo la fuga degli sgherri hitleriani. Ad Auschwitz vengono portare le scolaresche, e non ci trovo niente di male, anzi. Che si sappia, dovunque e da tutti, in quali abissi di ferocia può precipitare l’umanità.
Ma allora perché il no alle foibe? Forse perché le vogliono commemorare giovani di destra, magari, ammettiamolo pure, anche con intenzione polemica? Viene martellata incessantemente - e non me ne rammarico proprio - la spietatezza dei nazisti e la violenza dei fascisti.

Per il solo fatto d’avere un’altra connotazione ideologica le foibe sono invece da dimenticare? O al più da ricordo abbinato, sempre in parallelo con atrocità non rosse ma nere? A quei documenti un’università seria dovrebbe spalancare le porte, non chiuderle.

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