L’uomo in cachemire prepara il portafogli: ora spenderà di più

FirenzeIl cachemire è aumentato tanto, tantissimo, il giusto oppure un'enormità? Difficile rispondere se ti trovi al Pitti dove la maggior parte dei 1.100 espositori che in questi giorni stanno presentando le collezioni uomo per il prossimo autunno inverno, può dare i numeri sul morbidissimo materiale. «Nell'89 costava 220 euro al chilo contro i 170 di oggi», dice Brunello Cucinelli, l'imprenditore-filosofo che solo per maglie consuma 70 mila chili all'anno di cachemire. «Erano troppo bassi i prezzi di prima - continua - tutti devono guadagnare il giusto, anche i poveri allevatori cinesi che sono costretti a vivere in condizioni estreme perché le pecore danno del bel materiale solo se fa almeno 15 gradi sotto zero».
Inutile dire che per proteggersi da un simile clima ci vorrebbe il capo-simbolo della collezione: un'incredibile giacca a vento in cachemire imbottito di piuma d'oca austriaca (la più calda e leggera al mondo) e con interni in nylon giapponese, un gioiello di tecnologia tessile. «Non costerà una follia - conclude Cucinelli - la qualità è per sua natura impagabile e in ogni caso anche se le materie prime sono aumentate i prezzi al pubblico non dovrebbero crescere più del 5, massimo 7 per cento».
Luca Caprai amministratore delegato di Cruciani sostiene invece che i listini lieviteranno molto di più: dal 15 al 30 per cento secondo i prodotti. Del resto i pellicciai pagano le pelli il 60 per cento più di prima e chi come lui lavora con il cachemire a giugno pagava un chilo di grezzo 45 dollari e ora ne deve tirar fuori 145. Dunque l'unica soluzione è stringere i denti e fare prodotti sempre più speciali come il blazer in diamante rosso (un eccezionale filato che costa 270 euro al chilo) oppure come il piumino fuori in vitello e dentro in cachemire. Dello stesso avviso Aida Barni, signora aretina della nobile fibra cinese, presenta maglie da perdere la testa con trecce e ritrecce fatte a mano, ma teme di dover fare i salti mortali sui listini perché al consumatore, purtroppo, interessano solo i prezzi. «I prodotti low cost sono fatti da gente che lavora 12 ore al giorno per una tazza di riso - denuncia - noi facciamo tutto in Italia dove la manodopera costa cara perché offre il massimo sotto tutti i punti di vista». Alfons Schneider presidente dell'omonima azienda di Salisburgo, potrebbe giustamente obiettare che gli austriaci non sono da meno. Infatti nello stand si sono visti modelli fenomenali come il trench in loden teflonato con dettagli catarifrangenti per centauri e ciclisti che vogliono essere visti anche al buio, il cappotto da postiglione con mantellina reversibile e asportabile oltre al superbo loden da sera in cachemire nero con cui qualunque uomo può sentirsi elegante come un imperatore.
Anche nell'Austria Felix si pensa di ritoccare i prezzi del 5 massimo 6 per cento, ma per il 2011 sono molto ottimisti fermo restando un sano realismo di fondo. Infatti oltre ad aumentare le materie prime cominciano a scarseggiare e Michele Tronconi, presidente di Sistema Moda Italia, ha rivelato che ormai il 70 per cento del cotone prodotto nel mondo viene usato per i consumatori cinesi e indiani. "Con il cachemire rischiamo anche di più" dice Carlo Della Ciana, presidente dell'omonima azienda umbra. "Se si sveglia il mercato interno cinese - continua - siamo fritti perchè il 10 per cento di ricchi in Cina è pari all'intera popolazione europea".

Dunque che fare? "Noi stiamo tentando di cashmirizzare tutto" risponde mostrando con giustificabile orgoglio giacche e pullover in lana merino con un 20 per cento di cachemire. Grazie a un finissaggio super segreto i capi hanno la stessa mano di quelli fatti con la fibra prodotta dalla riottosa capra cinese.

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