Il "laboratorio" del Nordest? È diventato un manicomio

Il governatore Galan minaccia di correre con l’Udc per la riconferma. E il Pd si scopre «centrista»

Il "laboratorio" del Nordest? È diventato un manicomio

Il Nordest, da laboratorio politico a manicomio. Sull’ex locomotiva d’Italia Galan va all’attacco di Berlusconi e minaccia di candidarsi alla Regione in lista con l’Udc di Casini, mentre la Lega alle regionali dice di poter correre da sola e il Partito democratico alla canna del gas è ridotto a proporre, per bocca dell’ex ministro dei Trasporti Paolo Costa, un asse con il Pdl. Ma è la rivolta del Governatore, convinto fino a qualche giorno fa di poter ottenere il suo quarto mandato, ad appesantire un clima già molto teso nella maggioranza e a creare grossi disagi ed incertezze tra gli elettori del centrodestra veneto.
La Lega da una parte e un movimento ancora di dubbia connotazione targato Galan dall’altra in vista delle regionali del 2010. Con un unico evidente risultato: la dissoluzione di un’alleanza che finora, nonostante attriti e contrasti tra Pdl e Lega, è da anni egemone. Una convivenza difficile, turbolenta, ma che aveva garantito al centrodestra una lunga stabilità. Poi dalle schermaglie si è passati al cannibalismo e gli elettori del centrodestra ora si chiedono a chi possa giovare questa frattura, né all’uno né all’altro dei contendenti che in questo modo, facendosi la guerra, rischiano di disperdere un sacco di voti.
Se Sparta piange Atene non ride. A sinistra sono guai ancora più seri. Quel poco che resta in Veneto della vecchia classe operaia rosso-verde alle ultime elezioni ha scaricato la sinistra massimalista tanto quanto il centrosinistra all’acqua di rose ed è salita a pie’ pari sul Carroccio, e allora al Pd oggi non resta che intercettare voti al centro. Non a caso lo stesso Massimo Cacciari da tempo corteggia il Galan Grande sognando una convergenza delle aree moderate a danno dei leghisti. Per questo piroettano da tempo in Veneto D’Alema e Franceschini, Rutelli e Bersani, la Bindi e Letta. Tutto ciò mentre il ministro per le Politiche agricole Luca Zaia propone nelle scuole un’ora di religione cattolica per gli islamici in risposta all’ora di Corano suggerita ieri ad Asolo dal finiano Adolfo Urso. E, come se non bastasse, i sindaci veneti del 20% Irpef, guidati da Antonio Guadagnini, sono in rotta di collisione con quelli dell’Anci di Chiamparino, più disponibili a trattare con il governo che alle marce su Roma. Insomma, tutti contro tutti disordinatamente con una buona dose di autolesionismo. Peccato perché oggi sono finiti gli alibi del povero Veneto penalizzato, vessato e mortificato da Roma. Si è spiegato per decenni come il Nordest fosse un gigante economico ma un nano politico, privo di una adeguata rappresentanza. Ma oggi il tridente ministeriale Brunetta-Sacconi-Zaia impedisce a chiunque di recriminare contro la capitale o di piangersi addosso.
Eppure, mentre c’erano tutti i presupposti per continuare a consolidare i risultati unendo gli sforzi, dalle ruggini si è passati ai colpi di maglio e il sodalizio è finito. Molti stentano a credere che il Galan nato e cresciuto a Publitalia possa rivoltarsi contro Berlusconi, che pure alle nozze, nel villone di Cinto Euganeo, gli aveva garantito una riconferma. Ma alla fine sull’amicizia prevale la ragion di Stato e Berlusconi non poteva far altro. Sembra quasi un’ostinazione infantile, la sua, quella di voler restare in Veneto, rifiutando ogni genere di «ripugnante compensazione», che sia il diventare ministro o presidente dell’Enel o altro ancora. Ma il fatto è che nel Nordest, Galan, proprio come Berlusconi, ha fatto tutto da solo e contro tutto e tutti. Per questo si sentiva legittimato a restare dov’è, perché lui, con mille bastoni tra le ruote, trabocchetti e sabotaggi di avversari, alleati e sedicenti amici, è andato avanti come un bulldozer. Ed è stato lui a volere e a fare il Passante e il Mose, e non altri. Per questo la notizia di un passaggio delle consegne è stata una doccia fredda. Per questo è arrabbiatissimo e non ha intenzione di tornare sui suoi passi.

Voleva fare un partito veneto, sin dal giorno degli autoconvocati e, salvo imprevisti, lo farà. Rischiando, elettoralmente parlando, l’osso del collo. Lo dicono i suoi detrattori, convinti di un sospetto delirio di onnipotenza che colpì molti Dogi della Serenissima all’apice del potere.

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