Lacrime poi polemiche Biagi, l'addio è politico

Ieri, a Pianaccio, il funerale del celebre giornalista. La figlia: "L’editto bulgaro ci fu". Prodi dice di non voler strumentalizzare, ma non resiste: "Gli italiani sanno riconoscere le ingiustizie"

Lacrime poi polemiche 
Biagi, l'addio è politico

Pianaccio - Oggi si ricorderà che a salutare Enzo Biagi per l'ultima volta è venuto l'amico e presidente del Consiglio Romano Prodi; si sottolineerà la presenza di altri scampoli di governo e della politica come il ministro Paolo Gentiloni e il neo segretario del Pd, Walter Veltroni; si annoterà inoltre che tra quelli saliti fino al cimitero di Pianaccio c'erano anche il sindaco di Bologna Sergio Cofferati, lo «sfiduciato» presidente della Rai Claudio Petruccioli e tante altre personalità ancora...

Si dirà e si leggerà tutto questo. Tutto vero. Ma sommerso sotto il mare delle parole, dell'inevitabile retorica, nonchè di certe polemiche politiche che a un funerale risultano stonate almeno quanto l'insulsa moda di applaudire un feretro, si rischierà forse di dimenticare ciò che qualcun altro, invisibile e ben più potente dei già citati mortali, ha mandato ieri in terra per dare l'ultimo saluto a Enzo Biagi. Per lui, senz'altro, sarà stato il viatico più bello.

Parliamo di una giornata irripetibile fin dall'alba, quando il cielo di un tenue azzurro in alto e ancora quasi bianco vicino a terra, ha cominciato a ritagliare la linea delle colline dipinte con la tavolozza d'autunno, a evidenziare le chiome di larici e castagni, a frastagliare le cime dei monti Pizzo e Grande, e su su fino agli amati picchi del Nuda e del Corno alle Scale, là dove volano ancora tre aquile. «Mai più di tre - spiega uno del posto - perché ogni nuovo nato, quando è cresciuto, viene allontanato da casa».

Giù, a salutare Biagi, si affollavano gli umani, con in prima fila, oltre ai familiari, le 35 anime dagli occhi lucidi della minuscola Pianaccio, e poi i 2.380 abitanti della più vasta comunità di Lizzano in Belvedere, undici frazioni che danno vita a un paese dal nome quanto mai onesto, perché mantiene quel che promette. Gente alla buona, di montagna, usa a dire quel che pensa. E sono cose belle perché semplici, come l'orgogliosa esclamazione «s'al moriva un minister la veniva mica tutta questa gent», colta al volto e finita doverosamente nel bloc notes.

Poi succede che gli umani, a volte, più che le parole sbaglino il momento per dirle. E se si può comprendere lo sfogo amaro di una figlia quando ribadisce, come ha fatto Bice Biagi, che «certo, editto bulgaro ci fu, anche se qualcuno oggi ha botte di amnesia», molta minor comprensione merita un rappresentante delle istituzioni se parla in una sede che richiederebbe invece il silenzio. «Siamo a un funerale e non voglio fare polemiche - ha dichiarato Prodi premettendo un'excusatio non petita suonata fuori luogo -. Ma io lo so perché ne avevamo parlato e lui mi aveva detto di aver sofferto moltissimo. Con questo però basta, perché non voglio strumentalizzare una giornata bellissima. Del resto l'Italia sa benissimo - ha chiosato smentendo di nuovo le buone intenzioni - quali sono le giustizie e quali le ingiustizie».

Fortuna vuole che ci siano stati altri, con altre parole, a ricordare Biagi. Come i fidati parroci del luogo, don Racilio Elmi e don Giacomo Stagni, o come padre Giovanni Nicolini, ex presidente della Caritas di Bologna, che ha dovuto pronunciare l'omelia al posto del cardinale Ersilio Tonini, giunto per colpa del traffico con un ritardo di mezz'ora, ma ancora in tempo per assistere all'Elevazione e per riaffermare il «rapporto di amicizia fraterna» che lo legava al grande giornalista scomparso. Uomo nel quale si trovavano sempre quelle «qualità interiori ancora intatte prese e respirate qui, in questo paese che sono venuto a ringraziare». Per don Nicolini «Biagi è stato un laico cristiano, un angelo che ci ha lasciato la speranza e il sorriso della speranza», e per questa ragione era «importante saperlo ascoltare, per quella sua interpretazione dei fatti al tempo stesso aperta e severa, sempre attenta alle realtà più piccole e più ferite».

Poi, spentesi anche le voci del coro di Monte Pizzo, forti e dolci come quelle che si possono ascoltare soltanto in montagna, insieme

alla bara di legno chiaro coperta di rose rosse che calava nella fossa di terra nuda, sul minuscolo ma grande mondo di Pianaccio scendeva il silenzio della natura. Forse, proprio quello che Biagi aspettava di ascoltare.

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