Lascia il Fai la "zarina" con la mania dei ruderi e di vezzeggiare il Pci

di Mario Cervi

Giulia Maria Mozzoni Crespi ha rassegnato le dimissioni dalla presidenza del Fai (Fondo ambiente italiano) che aveva fondato trentaquattro anni or sono. Le succede Ilaria Buitoni Borletti. Il passaggio di consegne è avvenuto - parole del neo vicepresidente Marco Magnifico - in concordia, in serenità e normalità. Con il suo piglio schietto, e anche con cavalleria, Giulia Maria Crespi ha dichiarato che «Ilaria ha una lunga esperienza e un maggior senso manageriale del mio, porterà il Fai a traguardi superiori». Comunque l’indomita lottatrice che intimidì i direttori del Corriere della Sera e che ancora intimidisce i ministri con le sue richieste e con la sue rampogne, non si arrende. Ha accettato la presidenza onoraria del Fai e annuncia che si occuperà - indovinate - di ambiente. Proprio non le va di andarsene definitivamente, anche se passa alla pensione.
Credo che il suo acerrimo avversario Indro Montanelli, se fosse ancora con noi, le renderebbe a questo punto l’onore delle armi. Questa signora ottantaseienne ha avuto degli ideali, e per quegli ideali si è battuta con tale grinta da meritare sia il titolo di «zarina» sia quello, montanelliano, di «Maria Antonietta delle campagne». Giovanni Spadolini si divertì per qualche tempo a chiamarla «la fanciullina», volendo con questo alludere sia a una sua presunta immaturità, sia a una ancor più presunta docilità femminile. La «fanciullina» non esitò, venuto il momento, a cacciare Giovannone dal trono di via Solferino.

Quando Giulia Maria, figlia di Aldo Crespi e dell’imperiosa moglie Giuseppina, cominciò ad avere influenza nel Corriere - del quale i fratelli Crespi erano proprietari - noi giornalisti un po’ scanzonati e scettici imbastimmo un apologo sulla sua mania di proteggere tutto, la natura comunque si esprimesse e ogni piccolo rudere salvatosi dagli oltraggi del tempo. «Vennero i vandali - recitava l’apologo - con le loro vanghe, i loro picconi, la loro furia dissacratrice, distrussero le vestigia d’una chiesetta paleocristiana e sopra ci costruirono San Pietro».

Scherzavamo. Non scherzava per niente invece la «fanciullina» che a un certo punto - avendo gli altri Crespi venduto le loro quote di proprietà nel maggior quotidiano italiano - si trovò a esserne la padrona. Il tempo smussa gli angoli, non voglio qui insistere più di tanto su derive e cedimenti ideologici che a Montanelli - e anche a me e ad altri colleghi - parvero intollerabili. C’era, in quella stagione italiana, aria di dramma, l’avvento comunista non sembrava tanto campato in aria e in una certa borghesia - non parliamo poi dei politici - s’avvertiva una gran voglia di consegnarsi al Pci, futuro vincitore. Nessuno immaginava che il comunismo fosse a fine corsa. Giulia Maria, diversamente da altri, non vezzeggiò la sinistra per viltà. La vezzeggiò per orgoglio, convinta com’era, nel nome d’ideali astratti e ignorando la realtà, che da quella parte dovesse venire la rigenerazione del mondo. Si parlò molto della sua amicizia con Mario Capanna (ci fu perfino una perquisizione di polizia nella sua tenuta «La Zelata» sul Ticino alla ricerca del Capanna inseguito da un mandato di cattura e latitante). Oggi Capanna scrive sul Giornale, pensate un po’.

Giulia Maria Crespi credette d’aver trovato il direttore che faceva per lei in Piero Ottone. Il quale si adeguò a tal punto che Montanelli, rotti gli indugi, lasciò il Corriere: individuando proprio in Giulia Maria l’arcinemica. In tanti seguimmo l’esempio di Indro, e così nacque il Giornale. Poi anche Giulia Maria cedette, nessun Crespi rimase più nell’azienda che Benigno aveva fondato insieme al napoletano Torelli Viollier. Giulia Maria non scomparve, ma si dedicò esclusivamente alle sue crociate (per verità alcuni anni dopo acquistò una partecipazione nel gruppo Repubblica-L’Espresso, ma non fu un revival). Il Fai fu la sua creatura. Bisogna rendergliene merito. Fu creato sul modello del National Trust inglese, un’organizzazione privata con milioni di iscritti che restaura case e monumenti. È arrivato, il Fai, a 80mila soci, 500 sponsor, 6mila volontari. Giù il cappello.
La «zarina» è stanca ma non rassegnata.

Ha superato l’incubo del cancro, la vecchiaia non la spaventa. Il marito Guglielmo Mozzoni ha detto in un’intervista: «Mi chiedono sempre come ho fatto a domare la tigre. Ma io non l’ho domata, l’ho lasciata libera... Se mi fossero piaciute le pecore non avrei scelto una tigre».

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