Continua a crescere il numero di occupati in Italia. Sono 23 milioni 754mila i soggetti che a dicembre 2023 hanno dichiarato di avere un lavoro, 456mila in più del 2022. Lo scrive l’Istat in un report, diffuso ieri, con gli ultimi dati provvisori. L’occupazione su base mensile nell’ultimo mese dello scorso anno è aumentata dello 0,1%, pari a 14mila unità in più di novembre.
Gli incrementi si registrano tra uomini e donnenel modo che segue: dipendenti permanenti (+418mila), autonomi (+42mila) e under 34. Complessivamente, tale variazione si traduce nel 61,9% della popolazione di riferimento considerata occupata. La disoccupazione invece è calata dello 0,2% rispetto a novembre, scendendo al 7,2 percento. Con 1 milione e 800mila, quello attuale risulta essere il tasso di disoccupazione più basso dal 2008. Rallenta anche la disoccupazione giovanile (20,1%), ai minimi da luglio 2007, quando arrivò al 19,4 percento. Gli inattivi salgono dello 0,2% nella fascia 15-64 anni, mentre le persone in cerca di un impiego sono diminuite dell’1,6 per cento. Insieme alle stime sul Pil pubblicate 24 ore prima, si tratta di una combinazione di dati che offre se non altro un quadro incoraggiante.
Ma le buone notizie sul fronte del lavoro terminano qui. Nonostante i numeri positivi che mostrano una situazione piuttosto dinamica nel mercato del lavoro, soprattutto tra i giovani, resta l’annoso nodo dei salari bassi.
Sempre ieri l’Istituto nazionale di statistica ha infatti pubblicato un’indagine sullo scorso trimestre che prende in esame i contratti collettivi e i cambiamenti percentuali nelle retribuzioni contrattuali dei lavoratori italiani. Sulla carta si rileva un innalzamento delle paghe, ma solo per alcuni dipendenti. Gli aumenti tendenziali maggiori hanno riguardato il comparto scolastico (+37%), i ministeri (+33%) e gli impiegati nel settore della difesa (29%), mentre per farmacie private, pubblici esercizi, alberghi e telecomunicazioni non c’è stata nessuna oscillazione.
A pesare come un macigno sulle tasche degli italiani resta l’inflazione. Lo si evince dalla media dell’indice delle retribuzioni orarie, che in confronto al 2022 segna +3,1% a fronte di un rialzo dei prezzi del 5,9 percento.
Ma in assenza di una vera riduzione del carico fiscale, difficilmente i consumi potranno davvero tornare a correre.
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