La Lega e quel vertice «segreto» Silvio-Bossi

Le grandi manovre padane sono partite e puntano piuttosto in alto. La Lega siede su un bottino elettorale eccezionale, con riverberi in territori finora inesplorati (le regioni rosse, il Mezzogiorno, Napoli) e un ruolo da protagonista nel centrodestra, con un profilo moderato-istituzionale (e un feeling col Colle mai visto) del tutto inedito per i bossiani. Che il passo sia cambiato è evidente, dalle mosse e dai toni, e che la partita nel centrodestra si giochi attorno al dualismo Berlusconi-Bossi è altrettanto chiaro. C’è un retroscena dell’ultimo lunedì ad Arcore, nel summit post elettorale sulle riforme, che racconta esattamente questo. Silvio e Umberto, dicono gli ospiti del vertice, si sono chiusi in una stanza appartata per quasi mezz’ora, in un faccia a faccia riservatissimo sugli equilibri dell’asse azzurro-verde.
La chiave apre sullo scenario dei prossimi tre anni, e prelude al modulo per il dopo 2103. Il ministro Calderoli (colonnello leghista che, al di là del voluto folklore padano, è un fine stratega) sembra avere le idee chiare sullo schema: Berlusconi al Colle, la Lega a Palazzo Chigi. Anche il ruolo sempre più determinante di Tremonti, figura storicamente di snodo tra Forza Italia e il Carroccio, e le voci su una sua possibile candidatura a premier, entrano pienamente in questa partita. L’«asset» politico della Lega Nord, ovvero il federalismo, è custodito dal ministro pidiellino più vicino alle istanze del Nord. E un premier così marcato sarebbe un tassello essenziale nell’ottica di un governo presidenziale berlusconian-leghista (molto complicato, in questo scenario, individuare le nuove coordinate dell’area finiana...).
Bossi sta abilmente giocando di sponda, con la consueta furbizia, spostando magistralmente alfieri e cavalli, puntando su falsi obiettivi per ottenerne altri, più ghiotti. Il braccio di ferro sull’Agricoltura, con la Lega che rivendica quel posto anche dopo aver ottenuto il Veneto, è un esempio della tela del ragno che il Carroccio sta tessendo. Bossi fa il duro, puntando i piedi, ma tenendosi pronto a mollare, per avere così campo libero in altri settori, più strategici. Anche gli strepiti su un Senatùr sindaco di Milano sono ingredienti del medesimo, furbissimo pastiche padano. In verità il Carroccio lavora per espugnare altre roccheforti, come Bologna, Trieste e Torino, città strategiche che rientrano nel piano di conquista del Nord (dopo il colpo del Piemonte) e che sarebbero «cedute» senza troppi problemi, diversamente da Milano, dagli alleati del Pdl.
Se si guarda così di sbieco, tra le righe, alle movenze del Carroccio post-elezioni, si capisce anche la tattica sudista della Lega («puntiamo ad amministrare Napoli»), che è qualcosa di più di una provocazione, ma forse qualcosa di meno di un reale progetto di estensione così a Sud del dio Po. I leghisti, freschi di un’intesa mai vista col Quirinale, si stanno - direbbero gli esperti di marketing - «riposizionando», mutando abito (senza però modificare l’impianto di base né i termini del contratto coi propri elettori, cioè il progetto federalista) come forza nazionale e non più solo settentrionale, sempre in chiave 2013, come partito che potrà esprimere un premier.
Anche qualche strappo è lecito, se serve, e il blitz di Calderoli al Colle con le bozze delle riforme (a insaputa del premier) è servito per dimostrare - con l’evidenza di cui sono capaci i padani - che la Lega non è solo un alleato fedele, ma vuole essere regista del cambiamento (parola che Bossi usò come slogan per molti anni) del Paese. I segnali sono chiari e ripetuti, e siccome in politica conta amministrare il potere, la Lega si è mossa rapidamente per ridefinire gli equilibri. Prima la Rai, con la seconda rete che a breve dovrebbe passare nelle mani del Carroccio, poi con la partita delle fondazioni, che controllano le banche. Anche lì la Lega vuole contare come forza di governo. Lo stratega è Giancarlo Giorgetti, segretario nazionale della Lega e presidente della commissione Bilancio della Camera.

Ma anche i neogovernatori Luca Zaia e Roberto Cota hanno fatto capire che la musica deve cambiare. Insomma, non è più la Lega delle salamelle e dei padani con corna e baffoni a Pontida. I padani sono pronti a sedersi a ben altri tavoli.

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