Legalità e pettegolezzi: le telefonate sono prove? Allora arrestateci tutti...

Boccassini & Co. usano il metodo Woodcock e spiano dal buco della serratura dei colloqui privati. Chi di noi al cellulare non s’è mai vantato di cose inesistenti?

Legalità e pettegolezzi: 
le telefonate sono prove? 
Allora arrestateci tutti...

«Non puoi immaginare quello che avveniva là». Pare di sentirla la ragazzotta che al telefono si vanta con l’amica per la serata speciale appena trascorsa. Sei stata al ristoran­te? Macché. In discoteca? Me­glio. A una festa? Di più. E dove sei stata, allora? Dal premier Berlusconi. Ci devo credere? Ti giuro. Berlusconi in perso­na? In persona. Già normal­mente, per dire, quelle fanciul­le sono del tipo che se passano sotto un albero hanno attraver­sato la foresta amazzonica e se salgono su un dosso è come se avessero scalato l’Himalaya,fi­gurarsi che cosa succede se vengono invitate a cena ad Ar­core. Come minimo racconta­no di essere entrate nel castel­lo da mille e una notte. La fanta­sia non ha freni, pur di farsi bel­le con le amiche giurerebbero di aver avuto rapporti ravvici­nati anche con Aladin e il ge­nio della lampada.

Se telefonando, come in una canzone di Mina. In fondo il problema è tutto qui: da quan­to si è appreso buona parte del­le prove in mano ai magistrati del bunga bunga si basano su intercettazioni di chiacchiera­te telefoniche fra svolazzanti fanciulle: «Ho chiesto 5 milio­ni di euro», «Un puttanaio», «Ma tu non sai, cara mia...». «Io sono più importante di quella», «Silvio mi chiama tut­ti i giorni»... Ma quali prove ci sono che quelle ragazze non la stiano sparando grossa, come si usa, per epater le bourgeois che c’è in ognuno di noi? Leg­gendo gli atti, in effetti, viene un dubbio: che succederebbe se si prendessero per vere tut­te le dichiarazioni che si fanno al telefono con gli amici? Co­me minimo ci sarebbero mi­gliaia di italiani che hanno fat­to l’amore con la Bellucci, nes­suno che fa cilecca a letto e mi­lioni capaci di far a Rocco Sif­fredi la figura di un sottodota­to. 

Se telefonando, appunto. Chiamatelo «metodo Tim-Vo­dafone ». O anche, se preferite, «metodo Woodcock». In effet­ti il pm di Potenza si divertì un sacco a diffondere le chiacchie­re telefoniche del principe che sognava di sodomizzare le bambine («urlando»), di spac­care il naso a Lucia Annunzia­ta, di «pulirsi il culo» con il ma­nifesto mentre insultava i car­dinali e diceva «i sardi puzza­no e s’inchiappettano le ca­pre ». Reati contestati? Tanti. Reati provati? Nessuno. «As­solto per non aver commesso il fatto». Come diceva la vec­chia regola del giornalismo? Separare i fatti dalle opinioni. Ecco, per evitare certi inconve­nienti basterebbe che i magi­strati imparassero a separare i fatti dalle telefonate. Le due co­se non sempre coincidono. An­zi, quasi mai. 

Volete una prova? Ripensa­te per un attimo alle telefonate che avete fatto negli ultimi tre mesi. Siete sicuri di non essere imputabili di tentata corruzio­ne ( «Darei un miliardo per ave­re subito quel documento dal­­l’Inps... »)? O di tentato stupro («Quando si veste così le salte­rei addosso...»)? Siete sicuri di non aver millantato rapporti sessuali con una collega che a malapena vi ha sorriso alla macchinetta del caffè? Siete si­curi di non esservi vantati per un premio in denaro che non avete mai ricevuto? Gli italia­ni, si sa, sono un popolo di eroi, santi, poeti, navigatori e sbruffoni. Ma se ogni sbruffo­nata fosse realtà, beh, allora considerando quel che raccon­tano i pescatori, nei fiumi non ci sarebbe nemmeno più una trota. 

Ad ascoltare le telefonate, in effetti, siamo tutti fenomeni. I tre o quattro sfigati della cricca avrebbero già cambiato il vol­to dell’Italia e governato le sen­tenze. I segugi del Giornale avrebbero invaso Mantova. E Berlusconi sarebbe stato fatto santo in Calabria, come dice­va in un’intercettazione Ago­stino Saccà, rischiando oltre che l’incriminazione pure la Santa Inquisizione. Al telefo­no, si sa, tutti fanno gli sboro­ni, tutti sono un po’ spacconi. Di presunti reati se ne commet­tono un casino. Soprattutto, però, il reato di falsità. Al telefo­no con il collega tutti i capi so­no stronzi, in compenso al tele­fono con il capo tutti i colleghi sono stronzi. E gli autori? Han­no scritto tutti libri bellissimi. E i musicisti? Hanno fatto tutti dischi splendidi. Ricordate il produttore De Angelis (caso Saccà) quando parla di Berlu­sconi? «Le sue canzoni, presi­dente, sono belle. Prendono. Sono toccanti». Manca poco che si metta a piangere in diret­ta Telecom. Ma io me l’imma­gino­appena messo giù il telefo­no che fa una pernacchia, deci­so piuttosto che sentir quel di­sco ad accettare due ore di mar­tello pneumatico in stereofo­nia. 

Che ci volete fare? È così: al telefono non siamo mai since­ri. Siamo sempre sbrigativi. A volte volutamente cinici, co­me quelli che ridevano sul ter­remoto, a volte un po’ cazzoni. Quando parliamo al telefono siamo i migliori allenatori del­la Nazionale, i migliori giocato­ri di golf, i piloti d’auto più spe­ricolati d’Italia. Ognuno ha la sua piccola vanteria, il suo an­golo del gradasso, il suo picco­lo palcoscenico personale.

Adesso, per esempio, io fini­sco l’articolo e chiamo la reda­zione del Giornale : «Se mi ta­gliate una riga vengo lì e vi strozzo». Speriamo non senta la Boccassini. Il tentato omici­dio, altrimenti, non me lo to­glie nessuno.  

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