Il dibattito sulla riforma elettorale prosegue non a caso. È il risultato di due fattori concomitanti: il fattore Q e il fattore R. Q come Quirinale e R come referendum. Fin dal suo messaggio d'insediamento pronunciato davanti al Parlamento in seduta comune, il presidente della Repubblica ha invitato le forze politiche a non rinchiudersi in se stesse ma ad aprirsi al dialogo soprattutto per quanto concerne la riforma elettorale. Una riforma indispensabile, a giudizio di Giorgio Napolitano, dato che quella vigente non è riuscita ad assicurare una compiuta governabilità.
R come Referendum. Il presidente del comitato promotore, il professor Giovanni Guzzetta, ha inteso puntare una pistola carica alla tempia dei legislatori. Solo se costoro non si decideranno a decidere in tempi brevi, la parola passerà al popolo che si avvarrà per dire la sua di un referendum manipolativo che cambierà da così a così la legislazione in vigore assegnando il premio di maggioranza anziché alla coalizione vincente al partito più votato. La qual cosa dovrebbe propiziare il passaggio dal bipolarismo al bipartitismo.
Uno dei tanti paradossi italiani è che del sistema elettorale vigente tutti parlano male - a cominciare da Calderoli, padre vero o presunto che sia, il quale l'ha definito una porcata - ma fa un comodo birbone un po' a tutti quanti. Sarà per questo che le due coalizioni hanno sfornato ipotesi di riforma che si discostano il meno possibile dalla cosiddetta «porcata». Certo, il diavolo si nasconde nei dettagli. E per un bel po' i due poli hanno fatto melina senza scoprire fino in tendo le loro carte. Attirandosi le ironie di Guzzetta, che vuole vederci chiaro e intanto ha confermato l'intenzione di raccogliere le firme a partire dal 24 aprile lasciando con un palmo di naso quanti, e sono tanti, gli avevano chiesto una moratoria di un anno. Fatto sta che le somiglianze tra le due proposte saltano agli occhi. Difatti si marcia verso una proporzionale corretta da un premio di maggioranza e da clausole di sbarramento.
Che queste buone intenzioni vadano in porto o si ricorra al referendum, già si può dire chi perderà e chi vincerà la partita. Destinato a perderla è innanzitutto l'Udc di Casini. Ha puntato le sue carte sul sistema elettorale tedesco, cioè sulla proporzionale personalizzata, che le avrebbe permesso di fare l'ago della bilancia dopo le elezioni e di praticare la politica dei due forni di andreottiana memoria. E invece alla fine si è trovata con un pugno di mosche. Hanno detto picche i grandi partiti, perché non a torto considerano il bipolarismo una valida alternativa agli stanchi riti in auge ai tempi della Prima Repubblica, durante la quale i cittadini si limitavano a distribuire le carte ai partiti che se le giocavano a loro piacimento dopo il voto. Ma hanno detto picche anche i «nanetti» dell'Unione, favorevoli sì alla proporzionale ma timorosi che Casini un domani rimescoli i giochi a sinistra.
Così come stanno perdendo le due stampelle dell'Ulivo. Sia i Ds sia la Margherita sognano a occhi aperti un maggioritario a collegio uninominale a doppio turno di marca francese. Ma hanno dovuto fare una precipitosa marcia indietro per il ricatto dei sullodati nanetti, che si sarebbero dissociati dal governo propiziandone così la caduta.
A vincere, ma solo ai punti, sono i maggiori partiti dell'uno e dell'altro fronte. Come foglie in autunno, sono caduti tanto il sistema tedesco quanto quello spagnolo, caratterizzati da una proporzionale che da noi non prometterebbe nulla di buono.
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