L'ex dc Serafino Generoso racconta il suo calvario: "Io rovinato da innocente"

L'ex dc inquisito e prosciolto racconta: "Colpa del clima esasperato, la riforma della giustizia è urgente dal 1994"

L'ex dc Serafino Generoso 
racconta il suo calvario: 
"Io rovinato da innocente"

Serafino Generoso, ex assessore della Regione Lombardia, avvocato, è il «papà» politico di Roberto Lassini, autore dei manifesti «via le Br dalle Procure».
«Sì, è vero, quello slogan è eccessivo...».

E qui sta arrivando un però. Però?
«Guardi Silvio Berlusconi!».

E te pareva...
«Le insegno un sillogismo che si dice al mio paese: attenzionare. Che so, il Comune attenziona la Tangenziale... e la Procura attenziona il premier».

Lui preferisce il termine perseguitato.
«È che a un certo punto a uno gli girano le scatole!».

Siete tutti incattiviti, voi ex democristiani.
«Ci provi lei a gridare la sua innocenza mentre le fanno pagare una restrizione della libertà assurda».

Partiamo da Lassini.
«Ero appena diventato assessore ai Lavori pubblici in Lombardia. C’era questo giovane molto in gamba, esperto di diritto del lavoro, che lavorava nello studio legale di mio fratello Claudio. Potevo scegliere due collaboratori esterni, lo portai in Regione».

Luglio 1987, c’era ancora la Prima Repubblica.
«Restò con me un anno, poi divenne dirigente dell’Agenzia regionale del lavoro».

E si appassionò alla politica.
«Si candidò con la Dc alle Comunali di Turbigo, la sua città. Risultato esorbitante, lui correva tanto per provare e invece fu il primo dei non eletti. Poi, in seguito a una rottura interna alla Dc, sostituì il sindaco eletto».

Eh beh, era un «suo uomo», come dite voi politici...
«Io non ho mai avuto “miei uomini”, solo persone libere intorno».

Comunque ha seguito le sue orme nel bene e nel male: con lei ha scoperto la politica e con lei è stato travolto da Tangentopoli, arrestato e poi assolto nell’inchiesta sulla centrale Enel di Turbigo.
«In verità è il mio destino che è stato agganciato al suo. Come suo referente politico regionale mi trascinarono dentro a quella vicenda di cui io non sapevo un tubo».

Si fece 28 giorni di carcere preventivo.
«Ventuno dei quali in sciopero della fame. Era il luglio del 1993. Il pm era in ferie e io marcivo in galera».

Il pm era Di Pietro?
«Con Davigo e Colombo, il Pool di Mani Pulite».

Non era la prima volta che la sbattevano dentro.
«Novembre ’92, dieci giorni di custodia cautelare per una storia di mazzette negli appalti post alluvione in Valtellina».

Era la notte del 25 novembre: in Regione, dopo mesi di trattative, avevate appena siglato l’accordo per la giunta Dc-Psi guidata da Fiorella Ghilardotti, Pds.
«Poche ore dopo quell’intesa ero a San Vittore».

Con lei arrestarono Giuseppe Adamoli, lui pure Dc. Con buona pace di quell’ultimo tentativo di tenere in piedi la Prima Repubblica in Lombardia.
«C’era un clima... l’Indipendente pubblicava gli elenchi di chi, carcerato, non si presentava in consiglio regionale ma continuava a percepire l’indennità. Mi dimisi».

L’inizio del calvario.
«Quattro processi, con quattro assoluzioni piene in primo grado perché il fatto non sussiste, senza che la Procura facesse appello».

Dopo quanti anni?
«L’ultima assoluzione è del gennaio 1999. Mi riaffacciai alla politica dal Ccd, ma ormai il mondo era cambiato».

Oggi è candidato sindaco del suo paese, Cassano D’Adda, in una lista civica.
«Alcuni mi guardano ancora storto. Pensano: se è stato in galera qualcosa avrà fatto».

Lei disse allora: «Finiremo in uno Stato di polizia analogo a quello della Germania dell’Est ai tempi della Stasi».
«La custodia cautelare resta un problema grave. Andrebbe limitata ai fatti di sangue, e per quelli amministrativi usata solo in casi estremi».

Almeno la risarcirono.
«Le chiamano “riparazioni”. Fui “riparato” due volte, ognuna con 50 milioni di lire».

Non è poco.
«Se avessi finito la legislatura avrei guadagnato 350 milioni e ora godrei di una pensione più alta. Il punto però sono i danni irreparabili. Noi siamo come i sopravvissuti ai campi di concentramento. Anche adesso che ne parlo con lei rievocare quei giorni è doloroso».

Crede che si trattò di un’operazione politica per rovesciare la giunta?
«Sto ai fatti. Se mi hanno assolto, vuol dire che avrebbero potuto evitare di arrestarmi».

Perseverare è diabolico, ma errare è umano...
«E allora avrebbero potuto indagarmi senza arrestarmi. E poi lo dicono i libri di storia, anche quelli scritti dalla sinistra: solo Dc e Psi furono spazzati via. A Botteghe oscure vennero risparmiati».

Berlusconi vede un disegno eversivo dei magistrati per rovesciarlo.
«Non ho visto indagini sui capitali all’estero di una nobile famiglia italiana».

Di che parla?
«Avrà visto la lite in casa Agnelli, no? È indiscutibile che si stia puntando solo in una direzione».

Freccia a destra?
«Berlusconi ha avuto una serie di indagini in numero sproporzionato! Ma poi, tutte queste intercettazioni a lei sembrano normali?».

Sono uno strumento di indagine.
«Sì, ma l’obbligatorietà dell’azione penale si traduce con potere discrezionale. Va abolita, ma è l’intero sistema che va riformato, dai tempi dell’indagine alla responsabilità civile dei magistrati...

Infatti ben venga l’associazione di Lassini».

Eccessi a parte
«C’è una situazione di esasperazione e un solo modo per uscirne. Berlusconi passi dalle parole ai fatti: la riforma della giustizia è urgente dal ’94».

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