«Liberi di studiare la loro fede ma gli immigrati devono integrarsi»

Roma«Una tempesta in un bicchier d’acqua: mi è stato chiesto di esprimermi in linea di principio su una proposta riguardante la possibilità di un insegnamento scolastico dei principi dell’islam per gli studenti appartenenti a quella religione, e io mi sono espresso sulla base del diritto alla libertà religiosa». Il cardinale Renato Raffaele Martino, salernitano, 77 anni il prossimo 23 novembre, presidente del Pontificio consiglio per la giustizia e la pace dopo un lungo servizio diplomatico come rappresentante della Santa sede all’Onu, torna a parlare dell’ora di religione musulmana nella scuola italiana, proposta sabato scorso da Adolfo Urso e appoggiata da Gianfranco Fini e da Massimo D’Alema.
Eminenza, perché dice sì all’ora di religione islamica?
«Vorrei fare innanzitutto una premessa: si tratta di una questione che di per sé non compete alla Santa sede o più in generale alla Chiesa cattolica, ma riguarda i rapporti tra lo Stato italiano e una confessione religiosa, quella musulmana... ».
Fatta la premessa, spieghi il suo parere.
«Rispondendo a una domanda sulla proposta formulata sabato, ho affrontato la questione partendo dal fenomeno dell’immigrazione. È importante che gli immigrati che giungono nel nostro Paese siano integrati. Arrivano con una loro cultura e una loro religione, devono imparare a conoscere la nostra cultura e ciò che ha contribuito a costruire la nostra civiltà. Ricordo che il cardinale presidente della Cei, Angelo Bagnasco, lo scorso maggio, disse che “bisogna evitare il formarsi di enclavi etniche”. L’integrazione è pertanto quanto mai necessaria. La Chiesa, poi, essendo per sua natura missionaria, deve annunciare il Vangelo a tutti, nessuno escluso, e dunque c’è la possibilità che alcuni di questi nostri fratelli appartenenti ad altre religioni, entrando in contatto con la comunità cristiana, incontrino Gesù e si convertano: non mi stancherò mai di ribadire la necessità di garantire sempre questo diritto. Ma coloro che conservano il loro credo, hanno pure il diritto a istruirsi nella loro religione».
E questo diritto a suo avviso prevede anche l’ora di religione nella scuola pubblica?
«In linea di principio sì. La libertà religiosa è sancita nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo, e la libertà religiosa non si esercita soltanto nel momento in cui ti viene concesso di inginocchiarti e di pregare. Significa anche potersi istruire nella propria religione. Quando questa domanda fu posta all’allora cardinale Ratzinger, nel 1999, in relazione alla situazione tedesca, egli si disse favorevole a due condizioni: che i richiedenti aderissero alla Costituzione, e che vi fossero adeguate garanzie che non si trattasse di un indottrinamento, ma un’informazione equilibrata e oggettiva sull’islam. Esiste infatti il rischio paventato dal cardinale Bagnasco, quello di creare anche sul nostro territorio delle enclavi etniche, e bisogna fare attenzione alle scuole confessionali con influenze radicali. L’ipotesi in discussione potrebbe favorire, invece, la crescita di un islam pienamente italiano».
Davvero pensa che si possa applicare nella situazione del nostro Paese?
«È necessario innanzitutto che ci sia un numero sufficiente di alunni. Non mi nascondo certo che l’applicazione di un principio è un’operazione complessa che necessita di molti passaggi e di prudenti considerazioni. Esistono infatti dei problemi oggettivi. Uno di questi è la mancanza di un interlocutore rappresentativo delle comunità islamiche. Credo però che si possa cominciare a discuterne. Vorrei ricordare che subito dopo il Concordato del 1929, il governo del tempo stabilì delle disposizioni mai abrogate nelle quali si prevede espressamente che “quando il numero degli alunni lo giustifichi e quando per fondati motivi non possa esservi adibito il tempio, i padri di famiglia professanti un culto diverso dalla religione dello Stato possono ottenere che sia messo a disposizione qualche locale scolastico per l’insegnamento religioso”. Così come nelle più recenti intese tra lo Stato e le confessioni religiose già si prevede la possibilità della presenza nella scuola di docenti incaricati dalla confessione religiosa».
Il cardinale Bagnasco ricorda che l’ora di religione cattolica nelle scuole «si giustifica in quanto è parte integrante della nostra storia e della nostra cultura».


«Mi sembra di aver già detto di ritenere necessaria l’integrazione e dunque la conoscenza di alcuni fondamenti che sono alla base della nostra civiltà. Bisogna a mio avviso tenere presente anche il principio della libertà religiosa, che la Chiesa chiede sia sempre riconosciuto».

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