Libia, e adesso Gheddafi vuole punire l'Italia Ecco i frutti della guerra: il raìs caccia l’Eni

Il dittatore decaduto ha dichiarato che sospende i contratti petroliferi con l'Eni e che in futuro non ci saranno nuovi accordi di cooperazione con l'Italia, perché ha violato il trattato d'amicizia. E fa capire che aprirà a Francia e Inghilterra. Uno sgambetto per noi, ma gli effetti saranno limitati

Libia, e adesso Gheddafi vuole punire l'Italia 
Ecco i frutti della guerra: il raìs caccia l’Eni

Il dittatore decaduto della Libia Gheddafi ha dichiarato che sospende i contratti petroliferi con l’Eni, e che in futuro non ci saranno nuovi accordi di cooperazione con l’Italia, in quanto con l’adesione alle operazioni della Nato avremmo violato il trattato italo-libico. Invece c’è maggiore disponibilità verso i francesi e gli inglesi, con cui Gheddafi sta riservatamente trattando, prima della resa finale: ecco i frutti perversi di una guerra in cui siamo stati trascinati.

Comunque queste dichiarazioni, che nelle intenzioni del dittatore libico avrebbero dovuto suscitare un pandemonio per le quotazioni dell’Eni in Borsa, hanno avuto un effetto molto modesto: in chiusura esse avevano perso lo 0,57% contro una perdita media del listino dello 1%. La principale ragione di ciò è che i contratti petroliferi non possono essere disdetti a piacere, accampando presunte violazioni, che in questo caso non sussistono, perché l’Italia opera con la Nato sulla base di una risoluzione Onu cui la Libia è soggetta. E il governo di Tripoli al momento non è neppure quello legittimo. Tale qualifica compete a quello degli insorti che occupano gran parte del territorio dello stessa Tripolitania e hanno avuto un riconoscimento ufficiale anche dall'Italia. Il loro governo non potrebbe dare corso a una delibera di Gheddafi che essi considerano un usurpatore.

E se il futuro governo della Libia volesse dare una autonoma disdetta ai contratti con Eni, per mettere altre compagnie al posto del cane a sei zampe, sarebbe sottoposto a penali pesantissime dai tribunali che presiedono agli arbitrati internazionali. Nessuno, nel mondo petrolifero occidentale, è disposto a prestarsi ad operazioni del genere, perché ciò creerebbe un precedente dannoso per tutti: quello per cui se un governo succede a un altro, le concessioni petrolifere preesistenti diventano carta straccia. Inoltre un governo che arriva al potere dopo una guerra civile in un paese dotato di risorse petrolifere ha bisogno di estrarre il massimo quantitativo nel più breve tempo possibile. E l’Eni, come ha osservato il suo presidente Paolo Scaroni, in interviste al Financial Times e a Il Foglio poco tempo fa, è la compagnia che è da più tempo in Libia, con più impianti e più conoscenza dei siti del petrolio e del gas. La Libia fornisce il 10% del nostro fabbisogno di gas, mediante un gasdotto con l’Italia da cui ricava tre miliardi di euro annui. Una cifra che le fa comodo, per una fornitura certa, via tubo, che non è geograficamente possibile rimpiazzare con una equivalente con un altro stato europeo. Queste forniture sono state sospese a causa del conflitto, per evitare rischi legati a danni bellici alle tubazioni. Ma noi abbiamo scorte a sufficienza. E per questa parte il blocco di Gheddafi sanziona una situazione di fatto, che cesserà quando finiranno i combattimenti e si tornerà alla normalità.

Così il blocco dei rapporti con l’Eni di Gheddafi, per la nostra compagnia petrolifera, nell’immediato, è un vantaggio, perché la esonera dal compito di fornire di gas e di petrolio il territorio di Tripoli e dintorni che è oramai teatro di guerra. E la capitale libica rimarrà presto al buio, senza trasporti pubblici e senza gas per la cucina, oltre che senza frigoriferi e condizionatori. Ma nel comunicato di Gheddafi si cela una insidia, che riguarda non i contratti in essere, ma quelli eventuali futuri. Il dittatore libico in sostanza fa capire che intenderebbe favorire i francesi e gli inglesi, per le nuove concessioni. Ciò non danneggia l’Eni più che tanto dato che ha già concessioni molto ampie, sia da coltivare che da esplorare. Ma mette in luce che i presunti motivi umanitari che hanno mosso questi nostri alleati a premere per l'intervento in Libia e ad effettuare bombardamenti eccessivi, che in alcuni casi hanno causato perdite fra civili che probabilmente si potevano evitare, forse celano interessi di compagnie petrolifere al limite del lecito. Così come è regola comune che i contratti stipulati con un capo del governo valgano anche se cambia il governo, è regola altrettanto comune che non si usino le azioni militari definite di natura umanitaria, per ottenere concessioni petrolifere a scavalco.

Queste operazioni militari sono già oggetto di critica, per la difficoltà di separare le aree belliche da quelle civili e per i costi crescenti che comportano (in certi casi anche di vite umane). Non c’è bisogno di inquinarle, col petrolio. Pertanto il «ruggito del topo» del governo di Tripoli è bene che resti tale.

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