Una taglia non fa la felicità

Ossessionate dal peso sulla bilancia e dal numero sulle etichette degli abiti, non ci rendiamo conto che tutto è molto relativo

Una taglia non fa la felicità

La matematica non c'è mai piaciuta. Eppure siamo ossessionate dai numeri. Da quello sulla bilancia che controlliamo ossessivamente per tenere d'occhio il nostro peso, a quello che troviamo sulle etichette degli abiti. La nostra vita gira attorno ad un numero. Guai a prendere una taglia in più rispetto a quello che sappiamo essere la nostra solita. Tragedia se prendiamo un paio di pantaloni 42 e non si tira su la lampo. Siamo ingrassate! Dramma e titoli di coda. Eppure ci abbiamo fatto attenzione... com'è possibile che adesso quella gonna che abbiamo adocchiato prima dei saldi e che miracolosamente è rimasta l'unica ad andare in sconto, non vuole proprio saperne di chiudersi? Di prendere una taglia in più proprio non se ne parla, sarebbe una sconfitta. Piuttosto ci mettiamo a pane e acqua pur di riuscire ad entrare in quella stramaledettissima gonna.

Ebbene, vi sveliamo un segreto: il problema non siamo noi, il problema è che i numeri sul cartellino non sempre dicono la verità. E ci teniamo a precisare che non lo affermiamo perché vogliamo rincuorarvi o aiutarvi a trovare scuse. Lo facciamo perché ne abbiamo le prove. La fit blogger Katy, che su instagram potete trovare come @WodTheFork, ha postato qualche giorno fa una foto, diventata immediatamente virale, che la ritraeva all'interno del camerino di un negozio low cost americano, con due paia di leggings dello stesso marchio ma di modelli differenti, entrambi taglia 42. Peccato che uno le calzasse a pennello e l'altro le si bloccasse esattamente sulle ginocchia, senza volerne sapere di venir su. "Le taglie? Solo sciocchezze", scrive Katy sulla foto che la ritrae mentre prova i pantaloni, prova conclamta della sua affermazione.

Intervistata dalla giornalista Rachel Lubitz del Mic a proposito della sua esperienza (che poi è quella in cui tutte noi ci siamo trovate più di una volta nella vita, afferma: “Okay, forse tutto ciò non ha molto senso ma, alla fine, cos’è una taglia? Cioè, sappiamo tutte che in base ai negozi, ai modelli, ai tipi di tessuto, siamo una 40, una 42 o persino una 46. E allora?. Siamo tutti esseri umani. Con le nostre frustrazioni, le nostre maniglie dell’amore… Dovremmo però imparare a riderci su e andare avanti, invece di lasciarci risucchiare completamente da questi tormenti. Il motivo per cui ho postato la foto non era quello di alimentare odio nei confronti dei brand, ma mettere un tarlo delle menti delle mie follower. Mi importa davvero dei numeri scritti su un cartellino? Devo assillarmi per il resto della giornata oppure posso trovare un altro capo che mi stia semplicemente meglio?”.

Il messaggio che passa attraverso la blogger americana è forte e incoraggiante. Soprattutto considerando che molte – troppe – influencer ricorrono ad un uso cospicuo di Photoshop e filtri vari, risultando perfette agli occhi di chi le guarda e generando nelle follower frustrazioni, e alzando di gran lunga le aspettative riguardo al genere femminile tra i follower. Certo, riuscire a mettere in atto nella pratica il proposito teorizzato da Katy non è facile. Anche perché chi più e chi meno, siamo schiave di quello che dagli esperti viene definito fenomeno del Fat Shaming, ovvero quel meccanismo per cui una persona dovrebbe vergognarsi del suo peso – qualunque esso sia – e del proprio corpo. E il problema è che di questo disturbo soffre anche chi in sovrappeso non è affatto, ma, perché bombardato – non solo ma anche - da immagini di donne dai corpi perfetti e scevri di ogni buco di cellulite, riesce a sentirsi comunque grasso.

Tra le illustri vittime del Fat Shaming anche molte celebrities, criticate e oggetto di bullismo per la loro forma fisica.

Da Lady Gaga a Britney Spears, da Mariah Carey a Rihanna, e persino Gigi Hadid, accusata di essere troppo grassa per fare la modella. Ma può davvero il peso determinare una persona? Lo può una taglia? Può una rotondità compromettere la nostra felicità? Ne vale davvero la pena? La risposta la conoscete già.

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