Lista Anemone, Piero Chiara ne sa qualcosa

Caro Paolo, ti prego di rendere noto ai lettori del Giornale che il «Berlusconi» ricompreso nella cosiddetta seconda «lista Anemone» non è Silvio, non è Paolo. Non è un «lui» ma una «lei». Si tratta invero e precisamente della defunta signora Cleofe Berlusconi in Orimbelli proprietaria della omonima villa Cleofe sul Lago Maggiore. Come racconta Piero Chiara nel suo La stanza del Vescovo, la dimora berlusconiana aveva bisogno di un buon restauro evidentemente affidato all’epoca a un giovanissimo Anemone e alle sue imprese.
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Ma sì, è proprio così, caro Mauro: solo degli inveterati malafedisti possono insinuare che quel nome sul «listino» Anemone possa, chissà, forse che sì forse che no ma più probabile sì, riferirsi ai Berlusconi brothers di chiara fama. Per fortuna ci sei tu, uno dei massimi se non proprio il massimo cultore del grande Piero Chiara, a rimettere al posto giusto i puntini sulle «i»: l’anemonico «Berlusconi» è Cleofe Berlusconi in Orimbelli che compare nel bellissimo romanzo di Chiara La stanza del Vescovo. Lei, Cleofe, «una magrona autoritaria e sdegnosa, di almeno dieci anni più anziana del marito, col viso secco e pieno di grinze, i capelli grigiastri divisi in mezzo al capo, il busto diritto e liscio come quello di un uomo». A meno che... Io non voglio insegnarti niente, ma escludendo per forti argomentazioni anagrafiche il vescovo che diede nome alla stanza, monsignor Alemanno Berlusconi, «un prelato che era stato Nunzio Apostolico in varie parti del mondo e che faceva parte della Congregazione dei Riti», ci sarebbe, come indiziato di rango, Angelo Berlusconi, il fratello di Cleofe improvvisamente tornato dall’Etiopia (dov’era consulente e «uomo immagine» di un ras locale), «un bell’uomo sui quarant’anni di pelle scura, completamente calvo». In fondo è lui che eredita Villa Cleofe dopo la misteriosa morte della Cleofe medesima e del di lei marito Temistocle, suicidatosi «alla moda del Condé» e cioè impiccandosi alla maniglia d’un uscio.
Visto che ci siamo, mettiamoci anche, perché no?, la seppur malmaritata Matilde Scrostati in Berlusconi (nel film di Dino Risi, interpretata da Ornella Muti, mica roba piccola), «una giovane donna prosperosa, bionda, pallida, con gli occhi grandi e innocenti, un po’ flaccida all’apparenza, ma ben piantata sopra un torso a fuso dal quale prorompevano, sotto il velo di chiffon che la paludava, due seni da battaglia, a popone per colpa di un reggipetto mal sagomato, ma una volta liberi certamente a pera spadona, da tanto che s’impennavano quando alzava il busto per bere e per dar fiato ai polmoni. Un fiore di magnolia, pensai, una tuberosa grassa e delicata, con chissà quale bulbo nascosto». Non dimentichiamoci - e come potremmo, noi, appassionati lettori di Pietro Chiara? - che, causa furibonda nevicata, la gigantesca magnolia del giardino di Villa Cleofe cedette, andando a schiantarsi sul tetto e ivi aprendovi una falla che «cominciò a gemer ad ogni spirare di vento». V’era dunque necessità d’un intervento edile per il ripristino della copertura, così che finalmente cessasse di lamentarsi.

E chi meglio di un giovane alla Diego Anemone, con idee nuove e a conoscenza delle tecniche più all’avanguardia, avrebbe meglio potuto fare al caso? Il mistero è risolto, caro Mauro, e i lettori, come da tua richiesta, ne sono stati informati.
Paolo Granzotto

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