Un viaggio on the road per la penisola italiana che è anche un viaggio nel tempo. Un viaggio alle radici culturali degli italiani, o meglio degli «italici», un insieme di popoli dalle culture antichissime poi confluite sotto il guscio unificante del potere della Roma repubblicana prima e imperiale poi. E non si tratta semplicemente del ricordo remoto di genti lontane. Dentro il frastagliato territorio del nostro Paese restano memorie materiali e immateriali di questo enorme patrimonio di culture che si sono mischiate per secoli.
Per rendersene conto niente di meglio di L'Italia prima di Roma (Rizzoli, pagg. 246, euro 22) di Paolo Giulierini, direttore del Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Dal calcolitico sino all'età del ferro, Guglierini fa scoprire al lettore tutti quei popoli che nei manuali scolastici devono accontentarsi di un capoverso. E il risultato è quello di farci capire meglio perché siamo una cultura così composita e stratificata. Gli italiani infatti sono anche in buona parte celti, anzi meglio galli.
Queste popolazioni sino alla definitiva sconfitta contro Roma hanno attraversato la penisola in lungo e in largo, le loro tribù, come i Bergomates (da cui il toponimo Bergamo) o i riottosi Insubri che più di tutti si opposero ai romani, erano portatrici di una cultura molto meno urbana. Una cultura che nelle campagne resistette a lungo e costrinse i romani a promulgare svariate leggi contro i druidi, un po' sacerdoti e un po' capipopolo. Quindi potete immaginare, in qualche zona della Pianura padana, qualcosa di molto simile alla resistenza dei galli di Asterix alla gente venuta da Roma. La faccenda durò così a lungo che ancora Tiberio dovette prendersi la briga di impedire i riti degli «studiosi della quercia» (druido deriva da druid, quercia e -wid, scienza).
Ma non è soltanto una storia di resistenze. Le parole galliche penetrano nel latino con facilità. Ad esempio, Catullo che veniva da Verona introduce nella letteratura latina basium. È gallica la parola d'amore per eccellenza. Ma lo è anche gladius, che indica la spada corta che prende il posto di ensis. Lunga e complessa è stata anche la storia e l'integrazione dei liguri, dei veneti e degli etruschi. I liguri erano temibili mercenari, ma aperti alla cultura greca ed etrusca. La loro lingua era preindoeuropea e trasformarono i loro territori in un vero e proprio Vietnam per i romani. Della loro cultura restano soltanto una serie di toponimi. Anche il loro nome è un mistero, e sembra collegato a Lug, un dio della luce che veneravano anche i celti. E tra i loro resti archeologici non mancano gli osservatori astronomici. I veneti che chiamavano se stessi Venetkes, invece, potrebbero testimoniare una misteriosa emigrazione da oriente, con il mito di Antenore. Sono i veri troiani in fuga. Non lo si può sapere con certezza, ma le loro frequentazioni micenee sono certe.
Quanto agli etruschi, il mistero resta fittissimo. La loro lingua è una delle meglio conosciute tra quelle di questi antichi popoli, ma non ha niente di indoeuropeo. Un esempio: le radici indoeuropee per la parola «stella» si trovano tutte nel latino: sidus, stella, astrum. In etrusco troviamo il termine palumcva che, come si può intuire, non ha lasciato eredi linguistici. Ma se della lingua è rimasto poco, della traduzione culturale etrusca è rimasto moltissimo, a partire da una tradizione medica ed erboristica che ha attraversato i secoli.
Nel libro compaiono anche i sanniti, i latini, i sabini, gli osci i coloni greci, i sardi, i piceni... Davvero un piccolo atlante della complessità da cui ha avuto origine la cultura italica che poi i romani hanno modellato ed esportato. Per altro il libro è anche caratterizzato da puntuali schede di tappa che consento di non perdere mai la rotta e di andare a vedere molto di ciò di cui si parla. Il risultato è un narrazione che cerca di incrociare luoghi, persone e contesti, per far rivivere una tradizione.
Ed è una tradizione fatta di osmosi, e mai di stasi. A volte anche di violenza, ma spesso di convivenze pacifiche e di tentativi di trovare un accordo. I romani cercarono di incorporare ciò che era diverso da loro il più possibile, a volte per saggezza, a volte per pura necessità militare per trovare una via d'uscita a guerre impossibili.
È nata così una tradizione di varietà e ricchezza, una ricchezza e una varietà pagata con il sangue, di tutti questi popoli, latini compresi, che caratterizza la storia dell'espansione romana. E proprio per questo non può andare perduta. E va capita, perché non si riduce alla bellezza di un teatro o di un foro con i suoi marmi.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.