La natura e gli animali, in provincia di Lecce, raffigurano dei simboli per le tradizioni popolari, per la poesia e per la quotidianità. Da Salvatore Toma a Rina Durante, passando per Vittorio Bodini, sono in molti ad aver consacrato la natura, quella che si insinua tra le pietre di muretti a secco e pajari - particolari costruzioni di campagna che consistono in una grande stanza dove un tempo si svolgeva parte della vita bucolica.
È proprio negli interstizi delle pietre a secco che si nascondono ad esempio, in estate, gechi e lucertole, entrambi rettili a sangue freddo, “dinosauri in miniatura” che hanno ispirato in molti. Come appunto Bodini che, nel suo Bestiario salentino scrive: “La luce è un’altra bestia sulle case da aggiungere al bestiario la cui favola sa di sputi e minacce, il geco, la tarantola, l’aggressiva cicala, la civetta”.
La leggenda del geco
Il geco è uno dei simboli più forti del Salento, così come in altri luoghi - a Napoli, per esempio, si pensa sia una delle forme assunte dalla Bella ‘Mbriana. Secondo gli antenati non solo è in grado di mimetizzarsi nell’ambiente circostante ma anche di compiere un’opera disinfestante, eliminando dalla casa gli insetti, in particolare le fastidiose zanzare. Nel tempo il geco è diventato messaggero di buona fortuna: gli insetti erano infatti considerati in passato portatori di malattie, e quindi i gechi, tenendoli lontani, proteggevano in un certo senso la casa.
Al tempo stesso però ci sono dei falsi miti sui gechi, che così vengono accomunati alle “tarante”, i ragni che secondo la tradizione popolare inducevano a una frenesia che poteva essere calmata solo attraverso musica e danza. Secondo questi falsi miti i gechi sarebbero urticanti o velenosi e andrebbero scacciati spruzzando sul muro su cui dimorano dell’acqua, ma naturalmente senza ucciderli o far loro del male.
I mille nomi della lucertola
Diverso è il discorso sulla cosiddetta lucertola muraiola, molto diffusa in provincia di Lecce ma al centro di un’interessante questione linguistica più che di una leggenda. È uno dei passatempi più comuni per i salentini che si incontrano per la prima volta, per rompere il ghiaccio, chiedere come si chiama la lucertola nel dialetto del proprio paese.
Il dialetto salentino non è monolitico. Sebbene, al di sotto della linea immaginaria Brindisi-Avetrana, si individui un determinato sistema vocalico tonico e atono tipico dei dialetti meridionali estremi, ci sono molte differenze da luogo a luogo, soprattutto lessicali.
Straficula, ursicula, sarvica, pastanicula: sono solo alcuni nomi per indicare le lucertole, tutti di origine greca e a volte usati in senso figurato, a indicare una determinata parte dell’organo riproduttivo maschile. Almeno stando a Gerhard Rohlfs, il filologo tedesco che, negli anni 50, giunse in provincia di Lecce per studiarne il dialetto, consumando con la popolazione locale, alla fine della giornata, una frisella al pomodoro - il pasto parco dei contadini salentini, un cibo che ancora oggi è molto amato nelle sere d’estate. Quelle stesse sere d'estate che sono popolate di animali: il geco, la lucertola ma anche gli uccelli notturni come i barbagianni e le civette.
La civetta e i suoi volti
Simbolo nello specifico della città di Galatina, che vi associa quindi un significato positivo, la civetta è spesso considerata nel Salento un presagio di morte. Il suo canto notturno, secondo un mito, equivarrebbe all’annuncio di una morte imminente o appena avvenuta.
Il mito è rafforzato da una leggenda molto evocativa, quella relativa alla morte reale del poeta Antonio L. Verri, la cui eredità letteraria è sempre viva e presente in provincia di Lecce e non solo.
Quando l’artista scomparve nel 1993 a seguito di un incidente stradale, secondo una vulgata, la morte gli fu infatti predetta in sogno da una civetta, quasi a rafforzare una credenza popolare e l'aura favolistica di un autore noto tra l'altro per essere stato molto innovativo sul piano del linguaggio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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