Per la ricerca medica l'Italia è il Paese europeo che spende meno rispetto al prodotto interno: ufficialmente l'1,3 per cento contro una media Ue del 2,4. In realtà quell'1,3 per cento è un dato sovrastimato. Esso è composto dalla somma della ricerca privata (0,5) e di quella pubblica (0,8 per cento). Ma in questo valore è compreso il 50 per cento della spesa universitaria, benché gli atenei italiani non investano in ricerca metà dei loro bilanci. Nei fatti, perciò, l'Italia investe in ricerca meno di quanto dichiara.
Nel campo dell'assistenza farmaceutica quello della ricerca non è l'unico capitolo in cui l'Italia sfigura rispetto ai partner. Per accedere ai trattamenti oncologici innovativi i pazienti italiani devono aspettare 427 giorni contro i 364 della Francia, i 109 del Regno Unito e gli 80 della Germania, con preoccupanti differenze tra regione e regione: soprattutto nel Mezzogiorno i tempi di attesa sono ancora più lunghi.
Come sottolineano le associazioni dei malati, avere le terapie giuste al momento giusto è l'unica soluzione per rispondere in modo adeguato alla domanda di cure efficaci. Perciò anche le inefficienze delle burocrazie regionali contribuiscono a negare il diritto alla salute.
Servono circa tre anni (1.070 giorni) perché un farmaco anti-cancro sia disponibile per i pazienti italiani. In particolare sono richiesti 400 giorni per l'approvazione da parte dell'agenzia regolatoria europea Ema e circa 570 per quella nazionale dell'Aifa.
L'ostacolo ulteriore è costituito dalla terza fase, quella regionale, che prevede l'inserimento del farmaco nel Prontuario terapeutico ospedaliero. Molte (e vergognose) sono le differenze presenti sul territorio: in media servono 100 giorni, ma si passa da un massimo di 170 in Calabria a un minimo di 40 giorni in Umbria.SFil
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