Londra rende omaggio a Sir Christian Dior, il designer dei sogni

Oltre 500 abiti esposti nella Sainsbury Gallery del Victoria & Albert Museum

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Londra Il più straordinario degli oltre 500 pezzi esposti nella Sainsbury Gallery del Victoria & Albert Museum (da oggi fino al prossimo 14 luglio) per la tappa londinese della mostra Christian Dior: Designer of Dreams è il primo esemplare della mitica giacca Bar. «Fa parte della collezione privata del museo dal 1960 per merito di Cecil Beaton» spiega Maria Grazia Chiuri davanti alla teca che custodisce lo storico reperto che per gli esperti di moda ha la stessa importanza della Stele di Rosetta per gli egittologi. Il modello fu infatti disegnato dal grande couturier francese per la sfilata del 12 febbraio 1947 che in un colpo solo segna il suo debutto nella moda, il lancio del profumo Miss Dior e la nascita del cosiddetto «New Look». A tagliarlo è stato un giovane sarto italiano che poi sarebbe diventato Pierre Cardin e che ancora oggi, a 97 anni suonati, racconta di aver comprato del cotone idrofilo in farmacia per realizzare la leggera imbottitura sui fianchi che determina quella stupenda linea ad anfora sotto cui sembra sbocciare l'ampiezza di una grande gonna a pieghe.

«È fatta come un kilt» sostiene Chiuri concedendo alla stampa italiana il grande privilegio di un'estemporanea visita guidata da lei stessa. L'invidia degli altri giornalisti è quasi palpabile perché Maria Grazia oltre a essere la prima donna a sedere sulla prestigiosa poltrona del direttore artistico dell'universo femminile di Dior, ha anche gran parte del merito degli straordinari risultati del marchio che nel 2018 sembra aver registrato un aumento di fatturato del 46 per cento, ovvero la miglior performance commerciale tra i brand del Gruppo LVMH. «Non sono per niente d'accordo con chi divide il processo creativo dalle esigenze del commercio: lo stesso Dior aveva pensato a una maison di successo, con filiali in tutto il mondo» dice davanti alla vecchia carta dei 5 continenti su cui Monsiuer Christian ha indicato con dei semplici quadratini le città in cui far arrivare i suoi prodotti. Al posto di Londra c'è quasi un buco, come se la matita fosse passata più volte a indicare un punto strategico.

Siamo del resto nella capitale dell'unico Paese «europeo nonostante la Brexit» (lo definisce così il direttore del V&A, Tristam Hunt, nel corso del cocktail inaugurale) che ha ancora una vera aristocrazia con uno stile di vita diverso dalle altri classi sociali. Infatti un altro pezzo imperdibile della mostra è l'abito creato per il ballo dei 21 anni di Margaret d'Inghilterra nel 1951.

«È stata la prima e più autentica principessa rock della storia» sostiene ridendo Madame Chiuri facendoci notare il meraviglioso ricamo in raffia sul modello esposto al centro di una stanza intitolata «Dior in Britain». Nella vetrinetta più piccola si vedono oggetti deliziosi come il foulard creato dal couturier per un regalo personale alla sorella della regina e alcuni oggetti che lui ha fatto realizzare in Inghilterra tra cui una spilla che nasconde un carillon costruita dal designer di bijoux Mitchel Maer. Poi ci sono gli abiti cuciti dalla maison per altri celebri clienti britanniche come la danzatrice Margot Fonteyn. Da qui in poi è un susseguirsi di sale una più bella dell'altra. Maria Grazia ci fa notare quanto sia difficile notare la mano dei sei diversi direttori creativi dell'universo femminile del marchio: «Lo stile Dior sostiene alla fine predomina su tutto». Per certi versi è così, ma il bello di questa esposizione curata da Oriole Cullen sta proprio nell'aver messo in risalto il lato britannico di una leggenda francese. Così ti salta subito agli occhi la fantasmagorica bellezza di una giacca fatta da John Galliano con gli stessi colori e decori di una porcellana Wedgwood. Nella sala dedicata ai viaggi c'è un meraviglioso sari creato da Gianfranco Ferrè in omaggio all'India coloniale mentre i giardini inglesi fedelmente riprodotti nel grigio Dior della Normandia si ritrovano anche sui poetici abiti couture di Raf Simons.

Nella sezione dedicata al ballo e illuminata da innumerevoli cristalli (la mostra è realizzata con il supporto di Swarovsky) ci sono pezzi da togliere il fiato di Saint Laurent e Marc Bohan, i primi due direttori artistici dopo l'improvvisa scomparsa del fondatore nel 1957. Accanto quelli creati da Ferrè, Galliano e Chiuri raccontano gli ultimi 25 anni di una storia che è nel cuore di tutte le donne del mondo. Nell'ultima vetrina c'è un abito fatto da Maria Grazia con diversi ventagli di tulle su cui compare il ricamo del nome «Christian Dior» come velato dal tempo.

«Mi ha ispirato la foto di quel ventaglio che credevo perso e invece si trovava qui al V&A conclude. Alla domanda su come riesce a reggere il peso di una storia così leggendaria risponde «Non devo pensarci, mi butto e lavoro». Dire che le riesce bene è poco.

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