Un milione di lavoratori in piazza. Dagli insegnanti ai pompieri, dai netturbini ai bibliotecari. Cinquanta manifestazioni in altrettante città. Per i sindacati è una delle più imponenti proteste nel settore pubblico dal 1926, anno dello sciopero generale che durò dieci giorni. L'austerità infiamma gli animi dei lavoratori inglesi ma scatena anche le ire del governo, che promette una stretta sulla regolamentazione degli scioperi, annuncia che alle prossime elezioni proporrà nuove regole per renderli più difficili e accusa i sindacati di tenere in ostaggio il Paese affidandosi a una minoranza.
In migliaia ieri hanno sfilato anche per le strade di Londra, fino a Trafalgar Square, chiedendo ai Conservatori di sloggiare da Downing Street e di chiudere l'era dei tagli lacrime e sangue («No cuts», «Get the Tories out»). Protestano contro il congelamento degli stipendi dei dipendenti pubblici, stabilito nel 2010 e poi rivisto nel 2012 con l'introduzione di un tetto dell'1% sugli aumenti. Ma ce l'hanno anche con la riforma delle pensioni - in base alla quale verseranno più contributi ma avranno meno soldi in uscita - e denunciano soprattutto l'impoverimento delle proprie famiglie. Secondo i calcoli di Trades Union Congress, la confederazione delle principali sigle sindacali britanniche, i lavoratori del settore pubblico - dai vigili del fuoco al personale sanitario - hanno perso in media 2.245 sterline da quando il governo di David Cameron è in carica, cioè dal 2010. «Anno dopo anno, i salari non si sono adeguati al costo della vita - spiega Frances O'Gradey, segretario generale del Tuc - e anche se l'economia ricomincia a crescere, il governo ci dice che non ci saranno aumenti fino al 2018. Non possiamo tenere un gruppo di lavoratori completamente escluso dalla ripresa».
Eppure dalle parti di Downing Street le preoccupazioni sono di tutt'altro genere. Non solo perché lo stesso ministro delle Finanze George Osborne ha già previsto che nei primi due anni della prossima legislatura servirà trovare «25 miliardi di sterline di tagli di bilancio supplementari», 12 dei quali (circa 14 miliardi di euro) solo nei servizi pubblici. Ma anche perché il Financial Times prevede che a causa del buco nelle finanze pubbliche, l'austerità potrebbe durare fino al 2020, un anno in più rispetto al previsto.
Perciò le speranze dei lavoratori rischiano di infrangersi di fronte al muro del premier David Cameron. Che alla vigilia dello sciopero, insieme con i pezzi da Novanta del suo partito, ha pensato bene di puntare il dito contro le modalità della protesta. E promesso di voler cambiare le regole del gioco e inserire nel manifesto conservatore per la rielezione nel 2015 nuovi paletti per impedire la paralisi del settore pubblico. Come? Con leggi che stabiliscano un tempo massimo entro il quale lo sciopero può essere indetto dopo il voto dell'assemblea e con una nuova regolamentazione che fissi anche un quorum in modo da evitare - come il premier e gran parte dei Conservatori sono convinti - che una ristretta minoranza tenga in ostaggio il resto dei lavoratori. La ragione è semplice per il primo ministro ed è la molla che lo spingerà a legiferare: «Lo sciopero della National Union of Teachers (che ha scatenato a catena la protesta degli altri lavoratori, ndr) è stato deciso due anni fa con il voto di appena il 27% dei lavoratori. È arrivato il momento di legiferare». Il sindaco di Londra Boris Johnson propone di fissare una soglia di affluenza minima del 50 per cento per rendere legittime le votazioni sugli scioperi. I sindacati rispondono definendo entrambi i «bulli del Bullingdon», il club esclusivo di studenti scapestrati dei tempi dell'Università di Oxford.
E contrattaccano: «Nessuno dei membri del Gabinetto ha vinto le elezioni del 2010 con il 50% dei voti degli aventi diritto.Nemmeno Cameron». Che pure i sondaggi danno in netta rimonta, addirittura al 33% davanti al Labour al 31%. E rischiano di essere «lacrime e sangue» ancora per un po'.
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