Lotta al commercio illegale: ecco tutti i trucchi dei cinesi

Il marchio Ce c’era e apparentemente garantiva la regolarità dei prodotti. Ma quella sigla non era una sicurezza, perché la merce in vendita non aveva passato i controlli dell’organizzazione istituita dalla Comunità Europea. Era una semplice etichetta, fatta fare in tipografia, per confondere gli acquirenti. L’operazione «Ciclope», condotta dagli uomini del I gruppo del Comando provinciale della guardia di finanza ha portato al sequestro di 600mila articoli per un valore di 7 milioni di euro. A finire nella rete dei finanzieri, che hanno controllato diciassette negozi cinesi, altrettanti imprenditori che sono stati denunciati. I blitz sono scattati all’alba per contrastare il commercio di prodotti illeciti nella capitale. Nel mirino degli investigatori numerosi negozi e magazzini nel quartiere Casilino.
Tra la merce sequestrata dalle fiamme gialle oggetti di diverse categorie merceologiche, dai giocattoli senza marchio Ce di conformità, a dispositivi elettrici con l’indebita apposizione dello stesso, ma anche bigiotteria, accessori per l’abbigliamento e prodotti in pelle con marchi contraffatti di note griffe. Erano tutti in giacenza negli esercizi commerciali dei diciassette cinesi. L’operazione è scattata a tenaglia: tecnicamente cinquanta finanzieri sono entrati contemporaneamente negli esercizi commerciali, così da evitare che qualcuno potesse repentinamente tirare giù le saracinesche e darsi alla fuga. Inoltre, alcuni magazzini sono risultati inizialmente chiusi, e solo grazie a un fitto incrocio di dati bancari e all’aiuto degli affittuari dei locali, è stato possibile risalire ai titolari.
Tutte le dichiarazioni dei prodotti elettrici, soprattutto ad alto voltaggio, tra cui batterie, scope e altro, erano false. Molti negozianti hanno anche presentato documentazione finta attestante la conformità ai dettami europei della merce. Ma inutilmente. Come se non bastasse su orecchini, bracciali, collane di pietra dura e altri gioielli mancava l’indicazione del produttore. «Quando li fermiamo, spesso contestiamo loro il reato di falsa imposizione di impronta atta a garantire una pubblica certificazione - spiega il capitano Vincenzo Di Pietro del I gruppo - in quanto i cinesi appongono la targhetta Ce. Ma ci sentiamo rispondere che Ce non sta a indicare la certificazione europea ma il marchio “China Export”. Sono quindi prodotti non garantiti, perché magari si usa vernice pericolosa, ad esempio per i giocattoli. Un’altra forma di reato è la falsificazione del marchio di fabbrica di griffe come Fendi Gucci o Valentino».

«Inoltre spesso vendono orecchini, collane e bracciali senza cartellini che indichino dove e chi li ha fabbricati - conclude Di Pietro -. Il nostro compito consiste nel sequestrare la merce e segnalare i responsabili alla magistratura che decide poi la sanzione o la pena caso per caso a seconda delle violazioni».

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