Su un piccolo aereo al seguito del più grande cambiamento della politica italiana verso Israele, accompagnai Berlusconi nel suo viaggio verso la Knesset nel febbraio del 2010. Incontrammo le felicitazioni di Netnayahu e di Shimon Peres: non c'era differenza politica nel riconoscere che Berlusconi era un Europeo diverso, appassionato del popolo ebraico, rivoluzionario rispetto alla politica europea, sospettosa, filoaraba. Ero allora Vicepresidente della Commissione Esteri, nella breve vacanza dal mio lavoro di giornalista in cui sono stata membro del Parlamento italiano. Berlusconi cambiava la storia. L'intervento che preparò lo rilesse prima Giuliano Ferrara, inventore di una grande manifestazione di entusiasmo per Israele e poi lo rilessi anche io, e se racconto in prima persona è perché oggi purtroppo è il giorno adatto a commuoversi ricordando un attore così importante e discusso della politica italiana.
Sugli ebrei e il loro Stato, dopo decenni di giravolte sospette da parte della Democrazia Cristiana andreottiana, e dopo gli atteggiamenti filopalestinesi da Guerra Fredda della sinistra italiana, compreso Bettino Craxi che fece pagare a Israele il suo distacco dalla sinistra italiana, Berlusconi fu illuminato dalla sua posizione di conservatore liberale e atlantista. Con Israele fu se stesso, sapeva che gli ebrei erano nati là, cosa avevano sofferto e che non avevano a che fare con nessuna accusa di colonialismo. La Knesset ascoltandolo aveva le lacrime agli occhi, finalmente un leader europeo fu capace di stabilire con precisione l'indispensabilità dello Stato Ebraico, la sua speranza che entrasse un giorno a far parte dell'Unione Europea (speranza su cui Marco Pannella insistette fino alla fine), la sua ammirazione: «Noi liberali vi ringraziamo per il fatto stesso di esistere» disse agli israeliani chiamandoli, come Giovanni Paolo, «fratelli maggiori».
E sottolineò come Israele risultasse intollerabile ai fanatici, e quindi ai terroristi di tutto il mondo, proprio perché dimostrava che «esiste una possibilità di far vivere la democrazia anche fuori dei confini dell'Occidente». Berlusconi in quel viaggio e nella sua politica non si limitò a esclamazioni ma promise di ottenere «senza perdere tempo» e con «impegno quotidiano, sanzioni contro l'Iran che vuole l'atomica per distruggerlo». Questo era parlar chiaro. Berlusconi cambiò la strada dell'Italia invertendone la politica spinto dalla questione essenziale di un necessario fronte democratico e occidentale al tempo del terrorismo, e quindi decisamente filoamericano oltre che filoisraeliano. Berlusconi riuscì a mantenere un atteggiamento forte e dignitoso: l'Italia aveva combattuto a livello mondiale la sua lotta contro il terrorismo.
Bush, Aznar, Blair e anche Putin, furono allora compagni di strada. L'Italia di Berlusconi tentava strade europee proprie, che evitassero lo scontro con l'asse Franco-tedesco ma ne fossero consapevoli; che nel mondo stringessero migliori patti con gli Stato Uniti anche sul terreno militare. Sgominare la prepotenza di Saddam Hussein e delle fonti di terrorismo, promuovendo la sicurezza del medio Oriente con un profondo accordo con l'unica democrazia, Israele, gli apparve una strada naturale. Fu nel suo periodo che Gianfranco Fini, uomo di destra e presidente della Camera, impegnandosi a porre fine all'eredità ideologica antiebraica, compì una visita storica a Gerusalemme inginocchiandosi al Museo della Shoah, Yad va Shem. Berlusconi fu accolto con stupore e amicizia: era il primo europeo che, pur andando a trovare Abu Mazen, ripeté la sua fede assoluta nella necessità che gli ebrei avessero il loro Stato. Ripeteva sovente, e ho l'onore di aver udito più volte questo racconto, come sua madre Rosa, avesse salvato a rischio della sua propria vita una ragazza ebrea in viaggio su un treno.
Berlusconi amava raccontare, era un vulcano di idee. Durante i miei 5 anni alla Camera ho potuto formare col suo consenso la prima Commissione contro l'antisemitismo mai avuta dal Parlamento e il primo Comitato Interparlamentare fra Camera e Knesset.
Ascoltava, incitava a mettere in pratica le idee, correva via, passava ad altro, a volte raccontava prima di andarsene una delle sue barzellette. Io lo pregavo rispettosamente di evitare quelle sugli ebrei, anche se erano certo innocenti. Non mi dava retta.
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