Tecnologia, sostenibilità, verde. E ancora: inclusività verso tutte le classi, aggregazione, integrazione, benessere. «Questi sono i concetti chiave e gli scopi della smart city: creare un habitat confortevole per i cittadini» dice Giulia Agrosì, architetto con alle spalle una esperienza a livello europeo e internazionale, soprattutto in programmi e progetti di infrastrutturazione. Agrosì è anche autrice e curatrice della raccolta di saggi La Smart City e la città comoda (Mimesis), che ha per sottotitolo: «Una nuova realtà futurista smartiana». Smartiana può significare anche un po' marziana forse, ma soprattutto smart, ovvero «intelligente». Alla base di questa intelligenza della città c'è il digitale: il cablaggio sottoterra, l'internet of things in giro per le strade, le case, gli edifici pubblici, gli spazi comuni... Carlo Ratti, architetto di fama internazionale, che al Mit di Boston dirige il Senseable City Lab e con il suo studio torinese (Cra-Carlo Ratti Associati) si occupa proprio dell'impatto delle tecnologie digitali sull'architettura, la progettazione e il design, non ama «l'etichetta Smart»: «Come se le nostre antiche città non possedessero già una propria intelligenza collettiva, pre-tecnologica...». Infatti lui parla di «città sensibile: tanto dotata di sensori e apparati digitali, quanto capace di ascoltare i bisogni dei propri cittadini».
Ecco, si scopre che la smart city è intelligente non soltanto grazie ai cavi della fibra ma, anche, grazie alla partecipazione attiva di chi la abita. Dice Agrosì: «I tempi di applicazione e sviluppo dipendono da molti fattori: dalla volontà politica, dall'amministrazione comunale, dall'esistenza di un piano strategico disegnato in esclusiva sulla città; ma sono legati anche all'apprendimento del cittadino, che costruisce la città smart attraverso le sue interazioni». È anche per questo che l'architetto ha dato il via al Master «Be smart in the city» con la sua SmartCity Corporation: «La formazione e l'informazione sono fondamentali». Detto ciò, a causa di ragioni anagrafiche e storiche, è chiaro come, nella corsa al futuro, l'Italia parta... rallentata. «Bisogna decodificare il vizio di forma - dice Agrosì - è la grande sfida nel Vecchio continente. Poi, pian piano, verrà il resto. Singapore era costruita su palafitte e paludi e, in vent'anni, è diventata la città più smart al mondo. Ma lì sono nativi digitali. Noi abbiamo i Fori e il Colosseo, e questa è una sfida, ma anche un vantaggio: abbiamo più abilità e possibilità di agire in ambiti diversi». Il coinvolgimento della città nella sua interezza è un punto chiave anche per Ratti: «Spero proprio che andrà a scomparire l'innovazione dall'alto. Quella che nel Ventesimo secolo portava a fare tabula rasa dell'antica intelligenza urbana. L'innovazione nel Ventunesimo secolo dovrà essere molto diversa: partire dal basso, in maniera bottom-up...».
Come dobbiamo immaginarci la città del futuro? Secondo Ratti «dovrà sfruttare le nuove tecnologie per colmare una delle maggiori fratture della modernità: la separazione tra il mondo artificiale quello dell'architettura e dell'urbanistica e quello naturale». Bisogna «riportare il verde e la natura nel cuore delle nostre città. Anche in modi innovativi. Per esempio di recente abbiamo vinto un grande concorso a Shenzhen, nel sud della Cina, per costruire un grattacielo la cui facciata consiste in una gigantesca infrastruttura per l'agricoltura urbana». Poi c'è il tema, «fondamentale» dice Ratti, delle risorse energetiche: «L'Intelligenza artificiale ci può aiutare a usare meglio l'energia e accelerare la transizione ecologica. Il nostro studio ha messo a punto insieme alla città di Helsinki il più grande progetto di decarbonizzazione urbana d'Europa, basato su una serie di isole galleggianti che agiscono da grandi batterie termiche». Un altro fronte è la cosiddetta «economia circolare»: «Ci sarà sempre più coinvolgimento della popolazione nel riconvertire tutto quello che buttiamo. Lo spreco non sarà più tale. Ci saranno anche sistemi di compostaggio dagli scarti, per trasformarli in humus per far crescere frutta e verdura per gli orti urbani: si svilupperà l'agricoltura in casa, sui balconi o sui tetti» dice Agrosì. Che cosa scomparirà? Secondo Agrosì, probabilmente i negozi: «L'economia sarà convertita in digitale, e anche la valuta cambierà». E poi «le auto. Ci muoveremo sicuramente attraverso i droni: è questo il futuro. In Corea atterrano già sui tetti...». I droni possono suonare fantascientifici, ma guardando i progetti di «The Line», la città futuristica lunga 170 km e senza auto in costruzione a Neom in Arabia Saudita, forse non così tanto. Ratti immagina «un ampio portafoglio di mobilità, con tanti mezzi diversi connessi in un vero Internet delle strade: veicoli in sharing, micromobilità, biciclette, persino veicoli a guida autonoma, ma soprattutto i buoni vecchi tram o trasporti pubblici potenziati e resi efficienti». E gli ospedali? «Esisteranno ancora, ma ci sarà la telemedicina e molte persone saranno visitate e anche operate da remoto, attraverso i robot. In Africa si usano già i droni per il trasporto degli organi nelle zone remote» dice Agrosì. Che crede saranno mantenuti appieno gli spazi pubblici, «aree di aggregazione urbana», e i centri storici, magari «con sensori per il turismo e la manutenzione degli edifici». Ratti è convinto che «lo spazio pubblico, in particolare per noi italiani, sia forse l'invenzione urbanistica più importante di tutte. Le tecnologie digitali possono aiutarci a capire meglio come le nostre piazze e strade sono utilizzate. Ad esempio, al nostro laboratorio del Mit abbiamo analizzato in modo incrociato le reti di comunicazione e i luoghi di incontro di diversi gruppi socioeconomici in città, da Singapore a Stoccolma. I dati ci dicono come le scuole e i parchi siano i luoghi e le funzioni principali sui quali fondare una società più coesa, capace di creare luoghi di incontro universali e inclusivi, con i quali combattere la segregazione urbana». Il che significa un nuovo rapporto fra centro e periferia: «L'idea della città dei 15 minuti del mio collega Carlos Moreno è molto interessante: se sviluppata in modo corretto, consente di distribuire servizi di base per la quotidianità incluso l'accesso al verde o a servizi culturali in modo molto democratico». Sfruttando anche una domotica, estesa dal centro alla periferia, avanzata come quella di certe case coreane, dove la porta si apre e si accendono le luci quando il proprietario è ancora a due chilometri di distanza.
Quanto a noi, ci riconosceremo ancora nelle nostre città smart? «Certo - afferma Agrosì - il punto è non perdere la nostra identità, attraverso la conservazione dei centri storici e di quelle aree di nicchia che ci caratterizzano».
«Le città saranno sempre il nostro specchio - è la risposta di Ratti -. Diceva Shakespeare: cos'è la città, se non le persone?». Speriamo allora di essere più intelligenti, e più sensibili, di certi progetti e certe tecnologie...
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