MADAMA BUTTERFLY Una Scala tutta orientale

L’opera di Puccini nella versione del regista giapponese Asari, sul podio il maestro Myung-Whun Chung

MADAMA BUTTERFLY Una  Scala tutta orientale

Madama Butterfly si inserisce sul japonisme che arriva dalla Francia secondo Ottocento, dal quale muove anche lo statunitense David Belasco, fonte letteraria del libretto. Puccini vede a Londra il dramma di Belasco Madama Butterfly, a tragedy of Japan e resta folgorato. È sconvolto dalla scena dell'attesa. Un quarto d'ora di immobilità risolto su levare del sole. Nell'opera diventerà il «coro a bocca chiusa», l'epicentro drammatico. La partitura è percorsa da fremiti pentatonici ed esatonali, elementi armonici che il compositore pare aver assimilato per rendere con maggiore intensità l'azione. Per disegnare il modo di essere geisha di Cio-cio-san. Una figurina impastata di pulsioni dilanianti e piccole cose. Una dicotomia che, assieme alla frequente contrapposizione tra quanto Cio-cio-san esprime e il modo in cui la musica lo racconta, fa parlare di dissociazione. Puccini non conosce Freud, ma i tempi sono gli stessi e le sue teorie nell'aria. Myung-Whun Chung, habituée della Filarmonica (20 anni e 50 concerti) e già in teatro con Lady Macbeth di Šostakovic e Salomè, da domani è sul podio scaligero di Madama Butterfly. È coreano. Chi meglio di lui può parlare della figura di Cio-cio-san. O dissertare su quell'oriente ripensato da un compositore occidentale? Il direttore non ha dubbi: «L'oriente è solo cornice, richiamo atmosferico. La protagonista è un personaggio archetipico, universale come l'opera che la racconta. Oggi la grande cultura musicale non è né giapponese, né coreana, né cinese, né americana. Bensì la tradizione europea, per il semplice motivo che è la più importante e dunque destinata a monopolizzare ogni passione relegando le varie culture territoriali a livello di episodi». Chung, anni e anni di direzione stabile, o musicale, un po' ovunque, da Firenze alla Bastille e da Santa Cecilia e Radio France, parte come pianista e camerista. Côtè tuttora frequentato. La direzione, ci dice, non è «il sogno». Anzi, per chi ama la musica è il lavoro meno importante. La musica va eseguita. Ma il caso vuole, lui ha 15 anni, che una scuola di New York imponga ai pianisti anche lo studio della direzione. Mentre a 18 anni un altro caso gli fa incontrare Carlo Maria Giulini. È la collaborazione che gli cambia la vita. Giulini lo incoraggia, ne diventa il riferimento. «Si sente simile al maestro?» Assolutamente no. Quando dopo dieci anni di collaborazione il giovane coreano dirige la Prima di Brahms, repertorio Giulini, si accorge che gli viene tutta diversa. È la sua anima che parla con altri ritmi e differenti scansioni psicologiche. Nel curriculum di Chung il capitolo opera non appare quasi mai. «Eppure è il genere che prediligo, perché dentro ogni musicista c'è una voce che cerca di esprimersi. E l'opera è quella voce. Il problema è che crea troppi condizionamenti. Dei venti allestimenti di Parigi ne ricordo solo due. Per il resto conservo un Don Carlo, e un Otello perché cantava Domingo.

Tra sinfonismo e scena operistica il primo diventa una scelta obbligata. A meno che, come accade per questa Butterfly, sia tutto collaudato da garantire la libertà del direttore».
Madama Butterfly
Teatro alla Scala
dal 9 al 27 febbraio

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