Rivela segreto d'ufficio. Davigo è pregiudicato

La sesta sezione della Cassazione rende definitiva la condanna di Davigo per rivelazione di segreto d'ufficio: è stato lui a ricevere nell'aprile 2020 dal pm milanese Paolo Storari i verbali sulla fantasmagorica loggia Ungheria, di cui avrebbe fatto parte metà dell'Italia che conta

Rivela segreto d'ufficio. Davigo è pregiudicato
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«Dichiara irrevocabile la responsabilità in ordine alle condotte oggetto del primo capoverso del capo B». Nonostante il gergo giudiziario, la frase è di una chiarezza cristallina. Sancisce che «Davigo Piercamillo, nato a Candia Lomellina il 20.10.1950», è dalla sera di mercoledì un pregiudicato. La sesta sezione della Cassazione rende definitiva la condanna di Davigo per rivelazione di segreto d'ufficio: è stato lui a ricevere nell'aprile 2020 dal pm milanese Paolo Storari i verbali sulla fantasmagorica loggia Ungheria, di cui avrebbe fatto parte metà dell'Italia che conta. Sono verbali coperti da segreto, che dalle mani e dall'ufficio di Davigo vengono invece divulgati urbi et orbi. In primo grado l'ex Dottor Sottile di Mani Pulite era stato condannato a un anno e tre mesi di carcere, adesso non si sa: perchè la Cassazione ordina un nuovo processo solo sul secondo capo d'accusa, la diffusione dei verbali che dopo averli ricevuti Davigo racconta, riferisce o addirittura consegna a chiunque gli capiti a tiro, dal vicepresidente del Csm Ermini al senatore grillino Nicola Morra. Le motivazioni per cui la Cassazione ordina un nuovo processo per questo

capo d'accusa verranno rese note solo tra qualche tempo. Ma la sostanza non cambia, anche perchè è lo stesso Davigo ad ammettere di avere divulgato (a fin di bene, ovviamente) l'esistenza della presunta super-loggia. La loggia in realtà non esisteva, era l'invenzione di una coppia di ricattatori, ma intanto - anche grazie all'iniziativa della segretaria di Davigo - una sfilza di brave persone si trovarono indicati pubblicamente come frammassoni o peggio.

Sulla nemesi che ha trasformato in imputato e ora in condannato il più implacabile dei pm di Mani Pulite, il creatore di aforismi e teoremi passati alla storia giudiziaria del paese (a partire dal più noto, «non ci sono innocenti ma solo colpevoli che l'hanno fatta franca») si è ironizzato fin troppo. Certo, la cronaca ha una sua geometrica eleganza: e che l'ex sindaco Paolo Pillitteri faccia appena in tempo, prima di morire, a vedere condannato uno dei suoi implacabili accusatori (accuse finite quasi tutte in nulla) è quasi confortante. Ma la vicenda di Davigo è significativa per un motivo più attuale, ed ha a che fare con i poteri della magistratura. Racconta quanto i poteri pressocchè illimitati che la legge affida all'apparato giudiziario

siano nelle mani non di entità astratte ma di individui qualunque, con i loro pregi e le loro tigne, le vanità, gli errori a volte clamorosi. Il Davigo che prometteva di rigirare l'Italia come un calzino è lo stesso che da vecchietto, furibondo col mondo all'idea della pensione e dell'oblio, si infila in un guaio insensato che ne macchia in extremis la carriera.

I magistrati sono uomini: possono sbagliare, possono persino commettere reati. Questo insegna Davigo, e anche questo va tenuto presente quando ogni tentativo di limitarne il potere irresponsabile solleva l'insurrezione di una categoria immune dalle tentazione di autocritica.

D'altronde parliamo della categoria che ha tra i suoi vertici il sostituto procuratore generale della Cassazione Marco Patarnello, che dopo che sono saltati fuori i suoi proclami via web contro il governo, invece di scusarsi ieri li rivendica in una intervista al Corriere: e proprio in base a quel proclama si candida a dirigere l'Associazione nazionale magistrati.

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