Mahler incantevole Elettra e Salome di grande intensità

Chi lo sa, se sapremo mai perché, ma in questi giorni i tedeschi del Novecento storico ci bombardano con serate da un'ora e mezzo e più senza intervallo, salutati da applausi strepitosi. Ha cominciato il Wozzeck alla Scala; poi Daniele Gatti, che lo sta dirigendo, ha sciorinato la competenza nella composizione musicale e il carisma crescente, nella Sesta Sinfonia di Gustav Mahler, coacervo di dolcezze e di disperazioni, per il pubblico milanese della Filarmonica. E intanto a Firenze e a Torino, pronubo Robert Carsen regista, si presentano le due crudeli ed angosciate principesse di Strauss, Elettra e Salome.
Elettra è nera da vedere, donne vestite di nero tra le nude pareti d'un contenitore nero. C'è un rettangolo aperto, piccolo, in mezzo al palcoscenico. E ci son luci livide o infuocate. C'è un coro muto di donne che si muove come in un rito da tragedia greca: si ammucchiano e sparpagliano e si ricompongono in cerchio ripetendo con sincronia in immagini precise i gesti dell'eroina che deve vendicare il padre ucciso dalla madre e attende invano il fratello. Seji Ozawa, giapponese minutino ed in età rispettabile, scatena violenza inesorabile all'inizio, nella pienezza cruda chiesta all'eccellente orchestra del Maggio Musicale, e poi è sopraffatto dalla dolcezza stranita del colloquio tra i fratelli, come vissuto in un tempo remoto, e perentorio nella tragica danza liberatoria finale. Susan Bullock, Elettra, ci sta abituando a riscoprire grandi personaggi con una nuova intensità ; Agnes Baltsa è la madre, con tutta la sua autorità tagliente; Matthias Goerne è il fratello, e un Oreste così sembra venire dal mondo di Ibsen o di Britten, pacato, intimo, forte. E tutto è memorabile.
Salome di Torino è irraccontabile. I segni si affermano e si contraddicono, le idee si lasciano sprofondare nelle immagini in una specie di visionarietà decadente assorbita dall'impeto vitale della musica e dal suo frangersi in richiami misteriosi. Gianandrea Noseda sta portando l'orchestra del Regio a una forte convinzione, e sospinge a dovere il tenore Peter Bronder e Mark S. Doss, Erode e Giovanni un po' troppo sempre stentorei, Dagmar Perckova, Erodiade petulante e protettiva. Ma ecco: il mondo arido e lussurioso di Erode un caveau d'una banca, nelle immagini dei Boruzescu, e la cisterna da cui viene la voce di Giovanni Battista imprigionato è nel forziere, dietro all'enorme porta circolare; a un bancone le immagini accostate di schermi televisivi possono comporsi nel ritratto di Salome giovinetta o in una luna solitaria. Salome è una lolita capricciosa.

Quando Salome vorrebbe suo Giovanni, la parete del fondo si apre ed egli appare nel deserto; per la famosa danza dei sette veli, la ragazzina si traveste da diva e a spogliarsi non è lei, che ha comunque erotismo da vendere, ma goffi uomini coinvolti. Non crederemmo che esistesse Nicola Beller Carbone, se non l'avessimo ascoltata e vista: invece esiste, fenomeno meraviglioso, e teniamocela cara.

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