Il manager del futuro? Un "centauro" metà ragioniere e metà sognatore

La figura centrale dell'impresa nella visione anticonformista di Mario Mazzoleni, economista dell'Università di Brescia per dodici anni responsabile del Master of Business Administation della Bocconi

Nella nostra cultura imprenditoriale, e non solo quella imprenditoriale, il cambiamento ha un'immagine pessima. Nel termine «crisi» è contenuto unicamente il concetto di condizione molto problematica e non anche quello di apertura a nuove opportunità. La figura del manager deve cambiare profondamente. Questo in estrema sintesi la riflessione sulla situazione economica di Mario Mazzoleni, economista accademico senza preclusioni verso la consulenza aziendale e l'impegno imprenditoriale, che abbiamo incontrato in occasione di un suo recente intervento tenuto a Milano. L'economia italiana sta vivendo una crisi oggettiva, non epocale come dicono i catastrofisti ma neppure passeggera come sostengono gli ottimisti a oltranza. E quindi, poiché è nei momenti di crisi che si giocano le partite decisive, solo le imprese che adesso si mettono in discussione potranno poi approfittare al meglio della ripresa che verrà nei prossimi 18/24 mesi. Le altre, sembra di capire, farebbero bene a confidare negli scongiuri e nello stellone italico. E l'analisi, visto che viene da una persona che è stata per dodici anni - dal 1992 al 2004 - direttore del Master of Business Administration dell'Università Bocconi, che insegna Economia aziendale all'Università di Brescia e che all'attività accademica unisce la presenza nei cda di numerose azienda pubbliche e private lombarde, è da tenere in grande considerazione. Ma che cosa vuol dire mettersi in discussione? «Possiamo leggere tutti i libri di management del mondo - premette Mazzoleni - ma non dobbiamo mai dimenticare che l'Italia è un Paese di piccole e medie imprese con largo presidio padronale, di aziende guidate da famiglie imprenditoriali nelle quali si sviluppano, o meglio dovrebbero svilupparsi, competenze manageriali». Fatta la premessa, ecco la ricetta, che poi così semplice da mettere in pratica non è. «Uno degli ultimi incarichi che ho ricevuto come consulente - racconta Mazzoleni - mi è stato conferito dal titolare di un'impresa familiare presente con i suoi prodotti in molti Paesi esteri che mi ha chiesto di strutturare la sua azienda in modo tale che possa funzionare bene anche senza... i figli». Perché? «Perché - spiega l'ex direttore del Mba della Bocconi - i manager si possono licenziare, gli eredi no». Ecco, con un esempio, che cosa vuol dire per un'impresa mettersi in discussione: prepararsi al futuro con la consapevolezza che il passato, soprattutto quello nel quale si è conosciuto il successo, non può essere un limite insormontabile al cambiamento. Ma ecco anche il punto decisivo per il nostro futuro economico secondo Mazzoleni: la figura del manager, che deve superare la visione tecnica del proprio lavoro. Che deve sempre più, sembra di capire, essere una sorta di centauro, mezzo gestore e mezzo imprenditore, un po' ragioniere e un po' visionario, deve acquisire coraggio e capacità di visione senza perdere di vista la necessità di tradurre qualunque progetto in decisioni razionali. «I nostri manager - dice - devono acquisire competenze “soft”, come la capacità di stimolare e sostenere i collaboratori e la capacità di premiare e sanzionare». Per Mazzoleni le due nuove frontiere del manager italiano sono la responsabilità e la delega. «In Italia quando uno sbaglia reagisce quasi sempre dicendo “sì, però...” e attacca con le attenuanti, le circostanze sfavorevoli eccetera. Nel mondo anglosassone, invece, si dice “ho sbagliato, quindi...” e si apre il confronto alle possibili soluzioni».

E l'altro tasto dolente, la delega. «Privarsi di un potere è una questione che tocca le persone nel profondo ma in Italia si tende a rimuovere queste implicazioni psicologiche. E così deleghiamo solo “col guinzaglio”. Corto».

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