La mania di spremere sempre il ceto medio

Con l’introduzione del "tributo di bollo" il governo imita Amato e l’imposta sui depositi bancari degli anni Novanta

La mania di spremere  
sempre il ceto medio

Non so chi, se il ministro o un direttore generale, ha inventato l’aumento bifase del tributo di bollo sui documenti dei depositi bancari. Qui siamo di fronte non solo a un «fissato bollato» - termine tecnico con cui si designano il bollo su atti legali - ma ad una vera e propria fissazione: quella che bisogna colpire i risparmiatori, che investono i soldi in titoli, ricorrendo alle banche o alla posta, non a proprie società: insomma i redditi del medio ceto e dei piccoli borghesi. Questo «tributicolo» è stato varato di soppiatto, quasi che si volesse spaventare la massa dei risparmiatori. Non essendoci comunicati ufficiali, le agenzie si sono scatenate in indiscrezioni. Vi era chi asseriva che erano immuni da tassa i depositi contenenti solo titoli pubblici e chi faceva sapere che erano tassati tutti i tipi di titoli. Vi era chi faceva riferimento ai depositi presso le banche e chi, più correttamente, informava che erano tassati anche i depositi presso altri intermediari finanziari.
A quanto pare il tributo sarà di 120 euro per ogni deposito nel 2013, mentre bizzarramente si sdoppierà nel 2014, passando a 150 euro annui per i depositi sotto i 50mila euro e a 380 per quelli al di sopra. Dunque due depositi di una stessa persona da 25mila e da 26.100 euro pagheranno in totale 300 euro, mentre un deposito da 50.100 euro pagherà 30 euro di più. La logica di ciò sfugge. Comunque l’autore del nuovo tributo appare desideroso di emulare Giuliano Amato, quando negli anni ’90 escogitò l’imposta sui depositi bancari in conto corrente, che aveva, in primo luogo, un compito di fiscalità etica dimostrativa: bisognava dire al pubblico dei risparmiatori che «doveva» fare sacrifici per risolvere i problemi della pubblica finanza.
In Italia ci sono 30 milioni circa di conti correnti. I depositi in titoli vanno da 10 a 18 milioni a seconda della definizione di titolo (i derivati sono titoli?). Dunque il gettito annuo del nuovo tributo nel 2012 sarebbe di 1,2-2,1 miliardi. Nel 2013 esso aumenterebbe del 25% per i depositi sotto i 50mila euro e del 315% circa per quelli sopra i 50mila euro arrivando, probabilmente, a una cifra compresa fra 1,6 e 2,6 miliardi. Se dato questi «tributicolo» non ci fosse più l’aumento della cedolare sulle rendite finanziarie, al netto dei Bot, dal 12,5 al 20%, il marchingegno potrebbe esser sopportabile. Ma nel disegno di legge delega della riforma tributaria c’è anche questo aumento, con effetti dannosi per il mercato finanziario. Dunque questa operazione, da parte di un ministro che dice di voler semplificare e ridurre i tributi è poco comprensibile, data la sproporzione fra il gettito del nuovo bollo e i suoi effetti negativi. Infatti non sarà facile definire cosa è un deposito in titoli e quanto è il valore di tale deposito in corso d’anno, potendo passare da 49 a 51 milioni secondo le quotazioni. Ed ad esso si sommerà l’aumento di cedolare secca.

Si noti che gli azionisti con partecipazioni qualificate rimangono immuni dal bollo perché detengono direttamente le azioni e dall’aumento della cedolare perché i loro proventi vanno a una società. Insomma, a che gioco si sta giocando in via XX Settembre?

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